Atlante di Torino





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panorama del 1910

 

Panorama oltre il fiume del 1898
col monte dei Cappuccini

 



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(lasciando il puntatore sull'immagine compare la scritta di riferimento) :

Residenza UniversitariaLe SacramentineSede Propaganda StaffelCrimeaVilla CrimeaVilla AbeggOpera Pia LotteriVilla Gualino Le Sacramentine Malvasium via Ornato

 


I numeri dei titolini corrispondono a quelli dei rispettivi isolati sulla mappa di riferimento qui in alto
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Il ponte al di là del bene e del male
Il ponte Vittorio Emanuele I era uno dei luogh preferiti da Friedrich Nietzsche: "La sera sul ponte del Po: magnifico! Al di là del bene e del male!"

Il ponte voluto da Napoleone
Leggi la storia del ponte Vittorio Emanuele I

Vedi le immagini del ponte Vittorio Emanuele I dal 1820 ad oggi

I finti parapetti
Nel 1815 il re Vittorio Emanuele I, ritornato in città dopo la cacciata dei francesi, decise che la moglie Maria Teresa poteva tornare in città solo quando Napoleone fosse definitivamente fuori gioco a Sant’Elena. Quando questo avvenne i parapetti del ponte di pietra (quello della Gran Madre) non erano ancora completati, così vennero rimpiazzati con con tele dipinte sostenute da telai che davano l’illusione della costruzione finale, terminata qualche mese dopo.
Del resto alcuni reazionari avevano suggerito al re di demolire il ponte, in quanto voluto da Napoleone, ma il re saggiamente rifiutò dicendo: “Ci darà più gusto calpestarlo”.

image-1image-1image-1Gran Madre
Lo storico Ludovico Muratori parla di “Iside Magna”, un tempio dedicato a Iside proprio dove oggi c’è la Gran Madre. Costruita tra il 1827 e il 1831 per celebrare il ritorno di Vittorio Emanuele I dopo il periodo naoleonico, fu inaugurata alla presenza di Carlo Alberto. Edificata su 1500 pali, per allinearrne il livello con quello di via Po è un’imitazione del Pantheon di Roma. E' l'unico esempio di campanile lontano dalla sua chiesa.

La chiesa è stata realizzata su un terrapieno ed è raggiungibile con l'ampia scalinata, questo per renderla imponente e per annullare il dislivello con piazza Vittorio. Questa parte della città, infatti, è più bassa rispetto a piazza Vittorio e al resto della città (il monte dei Cappuccini è più o meno alla stessa altezza, sul livello del mare, di piazza Rivoli).

image-1Nel giorno di San Giovanni, patrono della città, il sole, esattamente alle 12.00 del solstizio invernale illumina il frontale superiore della Gran Madre, considerata il “ tempio dell’uomo”.
Ai suoi lati due statue che rappresentano la Fede e la Religione. La leggenda esoterica dice che le statue e i loro simboli - un calice innalzato e un triregno papale ai piedi del seggio - indichino dove è nascosto il Sacro Graal, o stiano ad indicare che il sacro cimelio è nascosto proprio sotto la Gran Madre.
Nell'ossario marmoreo riposano i resti di 3.851 caduti della I guerra mondiale, trasferiti nel 1932 dal Cimitero monumentale.

Sacrario dei Caduti alla Gran Madre
Custodisce le ossa di quasi 4 mila soldati torinesi caduti durante la Prima Guerra Mondiale.
Si può visitare solo l’ultima settimana di ottobre con orario compreso tra le 9 e le 15, la prima settimana di novembre (che è quella coincidente con la festa delle Forze Armate) e il 25 aprile, come spiega un cartello all’ingresso chiuso da un cancello.
La struttura sotterranea, che occupa il lato Nord del tempio, fu realizzata su progetto dell’architetto Giovanni Ricci, il quale per allestire la cripta fu costretto a modificare in parte il basamento della costruzione neoclassica costruita un secolo prima.
Dopo l’ingresso si trovano alcune statue di varia grandezza, tra cui una pregevole Vittoria alata, collocate al centro o in alcune nicchie. Sulle colonne sono incisi in ordine alfabetico i nomi delle vittime piemontesi della Prima Guerra Mondiale.

Vedi le immagini dell'Ossario dei Caduti della I Guerra Mondiale alla Gran Madre

image-1image-1Monumento a Vittorio Emanuele I
Il monumento venne commissionato da Carlo Alberto, nel 1849, a Giuseppe Gaggini che insegnava all’Accademia delle Belle Arti. La statua una volta ultimata venne conservata nei magazzini del palazzo Reale a Genova e dimenticata fino al 1869 quando il nipote dello scultore scrisse al Sindaco proponendogli di utilizzarla. Solo nel 1885 venne collocata davanti alla Gran Madre, ricordo di un sovrano che aveva cercato di ripristinare l’ancient regime dopo il turbine napoleonico.

Vedi le immagini dei lavandai sul Po.

Leggi la monografia sui lavandai torinesi.

 

 

 



Cristo si è fermato a Eboli
via Bezzecca 11, negli anni trenta fu dimora di Carlo Levi pittore, antifascista, dal confino scrisse “Cristo si è fermato a Eboli”.

 

 

 

 

 

 



 

image-1Il magistrato ucciso dalla 'ndrangheta
Il magistrato Bruno Caccia il 26 giugno 1983, senza scorta, stava passeggiando col suo cane davanti a casa in via Sommacampagna 15 quando il killer del clan dei calabresi gli scaricò addosso 14 colpi. Quella sera in carcere si fece festa.
Pochi mesi prima della morte rifiutò la carica di Procuratore Generale di Torino (che avrebbe gradito, perchè come disse con un sorriso: diventando vecchio sono diventato ambizioso) per non dispiacere ad un altro aspirante e restare vicino ai suoi sostituti. Gli è stato intitolato il nuovo palazzo di Giustizia in corso Vittorio Emanuele II.

Corso Fiume
Venne aperto nell'ultimo quarto dell'800, prima col nome di Vittorio Emanuele II oltre il Po. Nel 1892 fu ribattezzato Crimea, quando venne inaugurato il monumento in ricordo alla spedizione in Crimea (1855-1856). Alla fine della I guerra mondiale fu intitolato all'allora presidente americano Wilson, per poi assumere l'attuale denominazione di corso Fiume. Prima che la zona fosse adibita a residenze di lusso ospitava il Poligono di Tiro al Bersaglio.

Vedi le immagini della zona della Crimea e di corso Fiume

 

image-1Villa Crimea
Venne costruita nel 1898, in corso Fiume, per la cura specialistica di tre malattie dai dottori Giovanni Abate-Daga (chirurgia e cure delle ernie), Montalcini e Levi (oftalmia), Olivetti (malattie dell'intestino).
Successivamente fu ampliata con la costruzione della palazzina adiacente, sul lato di via Casteggio, e i cui decori sono visibilmente differenti rispetto a quelli dell'edificio principale. Nel 2013 è stata restaurata riportando le decorazioni originali all'antico splendore.

image-1La casa dell'Obelisco - Gaudì a Torino
Venne realizzata tra il 1954 e il 1959 in piazza Crimea 2.
Il progetto di Sergio Jaretti Sodano ed Elio Luzi è caratterizzato dai prospetti curvilinei delle facciate che richiamano i lavori modernisti di Gaudì. Malgrado la continua sinuosità sulle parti esterne dell'edificio , le pareti interne sono tutte rettilinee.


image-1Crimea, l'obelisco per la guerra contro i Russi
L’obelisco progettato da Luigi Belli, nel 1892, ricorda la spedizione della spedizione militare che tra il 1855 e il 1856, al comando del generale Alfonso Lamarmora, partecipò alla guerra di Crimea contro l’impero russo a fianco di Francia, Inghilterra e Turchia.

 

 

image-1La clinica super partes
L'edificio venne edificato, in via Bezzecca 2, come villa padronale tra il 1887 e il 1890, per il banchiere Marsaglia. Acquistato nel 1929 dalla Società Anonima Civile Sanatrix dell’imprenditore Martino Ceratto, venne trasformata in una modernissima Clinica privata. Inaugurata alla fine del 1932 alla presenza del Principe Umberto. Fino alla sua cessione, nel 1953, è sempre stata all’avanguardia per qualità e innovazioni nel settore e, in particolare, per la perizia di alcuni suoi clinici come il professor Achille Mario Dogliotti.  Durante la II Guerra Mondiale, sotto la direzione di Armando Ceratto, primogenito di Martino, legato alla Resistenza piemontese, la clinica offre ospitalità, sotto la tutela dell’Ordine di Malta, a  persone che rischiano la vita per motivi politici e razziali, tra di essi anche Vittorio Valletta. Fino a poco tempo fa era ancora percorribile il rifugio antiaereo sotto i padiglioni. Nel dopoguerra la Clinica ospitò personaggi illustri, lo stesso titolare, Armando Ceratto, sposò la diva cinematografica dei “telefoni bianchi” Caterina Boratto, conosciuta proprio durante il periodo della Resistenza. L’attrice una volta disse: “Quando mi si chiede cosa rammento di Torino, mi vengono in mente sopratutto i terribili anni della guerra. Mio marito era il proprietario della clinica Sanatrix, ai piedi della collina. Un padiglione era stato affidato all’Ordine di Malta con lo scopo di ricoverare nello stesso modo partigiani, tedeschi, seguaci della Repubblica di Salò. Noi si cercava di fare tutto il possibile, di aiutare gli ammalati con spirito umanitario, spesso affrontando il pericolo in prima persona… Quegli anni della guerra mi sono rimasti impressi come qualcosa di indelebile".
Nel 1951 il professor Dogliotti vi operò Fausto Coppi per la frattura della clavicola, dopo una caduta in gara. Pochi mesi dopo vi morì il fratello Serse dopo una tragica caduta vicino al Motovelodromo.


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image-1Monte dei Cappuccini

Presumibilmente qui, intorno all’anno 1000, sorgeva la Fortezza della Rocca Pandolfa, distrutta da Lotario III nel 1136. Negli anni successivi il fortilizio si chiamò Bastiglia dei Maletti e serviva anche come presidio per segnalare eventuali incendi in città.

Durante gli assedi fu punto strategico per cannoneggiare la città. Quando scoppiava un’epidemia diventava un lazzaretto.



image-1image-1La chiesa, dedicata a Santa Maria del Monte, fu teatro di un miracolo, nel giugno del 1640, descritto dal padre Pier Maria da Cambiano: “Le truppe francesi del conte d’Harcourt, arrivarono presso Torino, e rasentando la riva sinistra del Po, se ne impadronirono, nonostante la valida difesa dei nostri, ritiratisi verso il convento dei Cappuccini del Monte.
Ma neppure qui si trovarono al sicuro.
Nel mattino del 12 maggio i francesi diedero due potenti ed energici assalti alle trincee e, sebbene per due volte respinti, al terzo, però, costrinsero i nostri a deporre le armi e a rifugiarsi col popolo, sperando salvezza nel luogo santo, in chiesa".

image-1Ecco il racconto del fatto: “Gli invasori allora entrarono in chiesa, uccisero uomini e donne, giovani e vecchi, borghesi e soldati, e perfino quelli che si erano attaccati ai sacri altari, o che si erano rifugiati fra le braccia dei frati Cappuccini, e domandavano pietà e libera la vita.


Dei religiosi neppure uno fu ferito: tutti però si trovarono col cuore spezzato alla vista di così esecrabile strage. Sparso il sangue, trafugarono gli arredi sacri e saccheggiarono il convento, perché in esso, com’asilo sicuro, era stata posta dai fuggiaschi qualche masserizia. In seguito, nella chiesa stessa (orribile a dirsi) si abbandonarono a brutali atti di libidine. Ma non basta ancora.

Un soldato francese e eretico montò sull’altare e dopo aver sfondato l’uscio del Tabernacolo fece per afferrare la Pisside contenente le sacrosante Particole per farne scempio! Ma Miracolo! Una linea di fuoco uscita dal sacro Ciborio andò a cogliere in pieno petto il sacrilego francese e gli bruciò gli abiti e il viso. Il soldato, spaventato, si gettò a terra urlando e chiedendo perdono a Dio. Subito la chiesa fu riempita di denso fumo e fra il comune stupore e terrore cessò il vandalismo”.

Leggi l'approfondimento: Il miracolo che non fu un miracolo



image-1image-1Nel 1853 il colle che fino allora era chiamato “Bastia del Monte” venne denominato “Cappuccini” in quanto, dopo una processione a cui partecipò il duca Carlo Emanuele I, venne piantata una croce in legno e il sito divenne dimora dei frati.
Nel 1885 nella zona sottostante il convento venne aperta una birreria che per facilitare l’afflusso dei clienti costruì una funicolare cha partiva da corso Moncalieri, di fronte ai canottieri Esperia. Durante la II guerra mondiale venne demolita.

image-1image-1La cancellata della statua dell’Immacolata è quella che custodiva la grotta di Lourdes, donata dal vescovo di quella località, monsignor Thèas, alla città di Torino, in riconoscimento dei numerosi pellegrinaggi effettuati, organizzati soprattutto dalla FIAT.
E’ la stessa cancellata celebrata da Emile Zolà
Nel giugno del 1937 i lavori sul manto della strada scoprirono centinaia di scheletri, probabilmente vittime delle operazioni militari del XVII secolo.

 

 

Vedi le immagini dei Cappuccini dal 1669 al 1982 I Cappuccini con i colori dei grandi pittori I Cappuccini oggi


Vedi la panoramica interattiva a 360° della chiesa di Santa Maria del Monte - Cappuccini

L’esorcismo
Nell’archivio del Monte dei Cappuccini si trovano alcuni documenti relativi alle possessioni demoniache che avevano colpito dei religiosi ospiti del convento. Uno racconta, con una descrizione "magica, pura come la voce dell'acqua sulla pietra”, l’esorcismo di Fra Cosmo da Montemagno nel giugno del 1611:
"Liberazione di Fra Cosmo da Monte Magno chierico Capuccino invasato da 152 legioni di demoni.
Erano nel corpo di Fra Cosmo 152 legioni di demoni uno di più chiamato Silvino, da’ quali del padre Giovannino d’Acqui, per via di scongiuri, di digiuni, orazioni e discipline da lui e dagli altri fatti.
La prima volta uscirono tre demoni spaventati dalli suddetti rimedi e furono chiamati dal Demonio che parlava, vili e spazzacamini.
Un’altra volta in refettorio nella rievocazione delle stimmate di San Francesco : soffrì e fu piagato e come storpiato chiede grazie al Signore.
In virtù delle piaghe delle mani e del piede sinistro uscirono tre legioni e poi ne uscirono undici altacquire per i meriti del padre Cherubino da Moriana, finalmente ne uscì un’altra per i meriti del padre Pietro d’Acqui
…tutti insieme si posarono in orazione et promossi alcuni scongiuri, citato uno delli capi de’ demoni, subito comparve alla lingua…
…estratto dopo molti rivolgimenti e poi ancora tante legioni che erano stati mandati dall’Inferno dal Re degli Abissi sopra un milione tredicimila duecento trenta sei demoni…."

image-1Il Provinciale dei Cappuccini
In un manoscritto datato Torino Monte (Dei Cappuccini) 2 agosto 1830, e autografo dal Provinciale dell’Ordine Cappuccino che si firma ‘Frate Gio. Gius. M. Prov.le’. leggiamo la risposta piccata del Provinciale Cappuccino che spiega al Sindaco di San Sebastiano (che si lamentava di un predicatore che sarebbe stato mandato in quel paese) di non avere altri predicatori disponibili. Al retro un bellissimo piccolo sigillo impresso a secco su ostia con cavaliere del padre Provinciale Cappuccino.




L'incendio dei Cappuccini
Nella notte del 10 dicembre 1699 prese fuoco il deposito della legna dei Cappuccini. Il fuoco si propagò, ben visibile dalla città, per cui accorse personalmente il principe Vittorio Amedeo, accompagnato da un contingente del reggimento della Croce Bianca. Il fuoco, che aveva distrutto la cucina e il dormitorio, oltre al tetto, venne spento solo nella notte successiva.

image-1Il Santo bambino
Nella Chiesa di Santa Maria del Monte ai Cappuccini, sotto l’altare di San Francesco, un’urna contiene il "simulacro di cera nel quale vennero rinchiuse le reliquie" di San Botonto.
Il 28 dicembre 1841in via Nomentana, a Roma, vennero rinvenuti i resti di un fanciullo e di altri sette martiri con una ampolla di sangue. L'iscrizione sepolcrale indica il suo nome così: “Botonto qui vixit annis III. Mensibus II. in pace.” [Botonto, che visse tre anni e due mesi, (è qui ) nella pace]. Il martirio risalirebbe all'epoca della persecuzione di Diocleziano, nel 303 circa. Per concessione di papa Gregorio XVI, le reliquie del martire vennero donate al re Carlo Alberto di Savoia, che ne decise la solenne collocazione nella chiesa del convento torinese del Monte dei Cappuccini il 15 gennaio 1843.

 

I Cavalieri del Sacro Fuoco
Ai piedi della salita dei Cappuccini, dove ora c'è un giardinetto con la fontana delle Quattro Stagioni, tra il XV e la fine del XVIII ci fu l'antica "vigna" d'oltre Po dei Canonici Regolari Antoniani di Vienne. Costoro officiarono la chiesa medievale di S. Maria, che era eretta nella Bastita Taurini, dove attualmente esiste la chiesa del Monte e il Convento dei Cappuccini. Risulta segnata sulle antiche mappe e documenti Civici. La vigna serviva anche come ricovero notturno per i viandanti se si giungeva a Torino nella notte e il Ponte di Po era già serrato.
La malattia che l'Ordine antoniano curava in modo specifico era l'herpes zoster detto anche fuoco di Sant'Antonio, molto diffuso tra i poveri. Gli antoniani usavano soprattutto il grasso di maiale come emolliente per le piaghe provocate dal fuoco di Sant'Antonio, per questo nei loro possedimenti allevavano spesso i maiali che simbolicamente venivano raffigurati anche nelle chiese dell'Ordine.

image-1Piccoli spiriti blu
L'installazione delle luci è stata realizzata nel 1999 dalla tedesca Rebecca Horn, per Luci d’Artista.
Si tratta di una serie di anelli trasparenti e luminosi che aleggiano intorno all’edificio avvolto da una luce azzurra.
Dal 2000 è collocata in permanenza alla chiesa di Santa Maria del Monte dei Cappuccini.

 


image-1Festa di San Giacomo
La ricorrenza, nella tradizione, si celebrava all’ombra del Monte dei Cappuccini, nel Borgo Po, sulla riva destra del fiume, di fronte a Piazza Vittorio. Il 25 luglio di ogni anno un grande barcone infiorato, seguito da altre imbarcazioni addobbate a festa, trasportava una tinozza colma di pesci infiocchettati uno per uno. Dopo la benedizione nella chiesa di San Lazzaro, i pesci venivano gettati in acqua e i giovani pescatori si tuffavano dietro ad essi. Il primo che ne prendeva uno con le mani veniva proclamato Re della Festa, che si sarebbe protratta fino a notte inoltrata con musiche, balli e fuochi d’artificio.

 

L’amante di Madama Reale
Filippo d’Agliè (1604-1667) venne seppellito nel giardino del convento dei Cappuccini. Quando il corpo venne ritrovato fu riconosciuto solo per le sue due inseparabili pipe.
Nel 1604 era maresciallo di campo in Francia, capitano delle Corazze della Guardia di S.A., Ministro di Stato, Soprintendente generale delle Finanze, Maresciallo Generale dell’Armata, Gran Maestro della Casa, Cavaliere del Supremo Ordine della SS. Annunziata,. Ma è passato alla storia soprattutto per la storia d’amore con la vedova del Duca Vittorio Amedeo I, Cristina di Francia, prima Madama Reale. Durante la travagliata reggenza di Madama Reale tra il 1637 e il 1648 per il duchino Carlo Emanuele II, Filippo d’Agliè seppe tenere testa allo stesso Cardinale Richelieu che per due anni lo tenne prigioniero nel castello di Vincennes in Francia. Il conte, famoso per le sue squisite doti artistiche, buon musicista, ottimo violoncellista, geniale coreografo, scrisse e diresse innumerevoli balletti per la Corte di Torino, il più famoso dei quali risale al 1650 ed è intitolato Il Tabacco.

 

 

 

Lo scheletro del traditore
Nel 1989, durante uno scavo nel cortile dei Cappuccini, venne trovato lo scheletro di un giovane impiccato nel 1480 per alto tradimento.
Cinque secoli fa, coloro che si macchiavano di questa colpa venivano seppelliti sul fianco destro, con le braccia sotto il corpo, le gambe piegate, con il capo ad oriente e verso terra. Questo per negargli la vista dell’alba della Resurrezione.
La data è stata individuata, col radiocarbonio, dal Dipartimento di Fisica in collaborazione con i colleghi svizzeri, diretti dalla dottoressa Irka Hajdas,
La fine del XV secolo fu un’epoca travagliata per il Ducato di Savoia, conteso dalla Francia e minacciato da Guglielmo VIII di Monferrato, scosso da discordie interne fra i nobili piemontesi e savoiardi, che tentavano di approfittare della minore età del duca Filiberto I di Savoia.

Vedi la panoramica dai Cappuccini e il piano schematico del Panorama realizzati nel 1898

image-1Profondo Rosso
In corso Giovanni Lanza 57 un capolavoro dello stile floreale, la villa Scott, realizzata da Pietro Fenoglio nel 1902. Alla morte di Alfonso Scott (che era al vertice della Società Torinese Automobili Rapid), la villa diventò il collegio femminile "Villa Fatima" gestito dalle Suore della Redenzione.
Nel 1975 il regista Dario Argento mandò tutte le occupanti a Rimini per poter girare alcune scene dei "Profondo Rosso".
Ora l'edificio, restaurato, è passato a privati.

image-1Valsalice
Il 26 luglio 1863 alcuni sacerdoti costituiscono un’associazione per promuovere l’istruzione religiosa, morale e civile dei giovani di buona famiglia. Nasce così il collegio di Valsalice con 80 allievi.
La retta mensile è di 90 lire (378 Euro) per gli allievi delle elementari, di 110 lire (462.31 Euro) per le superiori.

 

image-1L'ottagono
Il Centro incontri e casa per ritiro religioso La Salle di strada Santa Margherita 132, è un'opera di riuso di una struttura incompiuta per tempio votivo tardo-ottocentesco (Nell'immagine si vede come doveva essere realizzata la chiesa di S.Giuseppe): il riuso risale al 1974, su progetto dell’architetto Mario Roggero (già preside della facoltà di Architettura) di preesistenza incompiuta (1884) dell’architetto Bertinaria.


Nasce il Corriere dei Piccoli
L’idea di realizzare il Corriere dei Piccoli, nel 1908, fu dell’educatrice Paola Lombroso Carrara (1871-1954 - nel 1934 abitava in via Febo 12) figlia di Cesare Lombroso. Interessata al mondo dell'infanzia, grazie all'influenza di Anna Kulishoff che introduce in casa Lombroso l’attualità politica e il dibattito economico, insieme con le idee socialiste e l’impegno a favore delle classi subalterne. Impegnata nella lotta all’analfabetismo, nel 1896 fonda a Torino un’istituzione, “Scuola e famiglia”, per assistere e sostenere gli alunni delle elementari, l’istituzione ebbe molto successo e si diffuse fino a coinvolgere tutte le scuole elementari di Torino, sotto l’egida del Comune. Proseguirà il suo impegno giornalistico e di informazione nei confronti dell’infanzia, fino a quando individua nel Corriere della Sera il quotidiano adatto al suo progetto, Il direttore del Corriere si mostra interessato e da quel momento inizia tra i due un difficile rapporto di collaborazione che porterà, alla fine del 1908, alla nascita del Corriere dei Piccoli. Nel nuovo giornale Paola non ricoprirà incarichi paragonabili al ruolo effettivamente svolto nella sua fondazione, le verrà riconosciuto un incarico di collaborazione, anonima, che, a fronte di un compenso mensile, prevede la cura di tre rubriche fisse. Una delle rubriche è la «Corrispondenza» che curerà firmandosi con lo pseudonimo di Zia Mariù. La collaborazione con il Corriere dei Piccoli si interromperà definitivamente nel 1911. Da quel momento le sue energie saranno assorbite dall’esperienza delle cosiddette “Bibliotechine rurali”, un’iniziativa da lei promossa attraverso le pagine del Corriere dei piccoli osteggiata dalla proprietà del giornale e all’origine della definitiva rottura. Le “Bibliotechine rurali”, nate nel 1910 da una campagna di sottoscrizione che Zia Mariù aveva lanciato attraverso il Corriere dei Piccoli, si prefiggevano di dotare le scuole di campagna prive di mezzi, di libri di lettura amena e, in tal modo, di contribuire a elevare il livello di istruzione dei ragazzi del popolo. L’esperimento riscosse un immediato successo.

image-1Il mago del bisturi
In via Febo 19bis (precedentemente in strada Mongredo 158) abitava Achille Mario Dogliotti (Torino, 25 settembre 1897 – Torino, 2 giugno 1966) è stato uno dei pionieri della cardiochirurgia, fondando il Centro di chirurgia cardiaca “Alfred Blalock” e contribuendo a perfezionare l'applicazione del cuore-polmone artificiale per la circolazione extracorporea (fu fra i primi al mondo ad utilizzare questa tecnica), dell'ipotermia controllata e di tecniche cardiochirurgiche originali. Diede anche importanti contributi anche alla trasfusione del sangue, all'anestesia, alla chirurgia addominale e alla cura dei tumori.
Promosse la donazione del sangue, e fu fra i promotori della nascita della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue (FIDAS). È sepolto nel Cimitero Monumentale di Torino.


image-1image-1Villa Gualino
E’ una costruzione ibrida modernista, ubicata in viale Settimio Severo 63, iniziata negli anni '20 dal finanziere Riccardo Gualino.
Per motivi economici e politici la grande villa venne espropriata intorno al 1931 e trasformata dal fascismo nella colonia elioterapica “3 gennaio” (per ricordare il 3 gennaio 1925 quando Mussollini tenne il discorso al Parlamento considerato l’atto costitutivo del fascismo come regime.
Nel dopoguerra venne concesso all'Opera di Don Gnocchi che si occupava dei bambini feriti e mutilati durante la guerra, assumendo appunto il nome di “Mutilatini”. Ora è di proprietà pubblica

image-1image-1image-1Canale Michelotti - Lo Zoo
Era uno dei numerosi corsi d'acqua artificiali che producevano energia meccanica per mulini e industrie torinesi nel corso dell'Ottocento. Ora scomparso, ne rimangono alcune tracce nel tessuto urbano. Successivamente l'area coperta è stata denominata Parco Michelotti e per diversi anni è stata adibita a Zoo.

image-1Il parco degli scioperanti
Il 1° marzo 1913 inizia uno sciopero che coinvolge 6500 operai. L'av­vertimento padronale che saranno licenziati quanti non tornano al lavo­ro entro il 25 non intimorisce i lavoratori.
Cosi, nell'inizio della primavera, è il parco Michelotti, sulle rive del Po, ad ospitare i 6500 scio­peranti. Ogni mattina c'è comizio. Racconta Gino Castagno:
Nei primi giorni, un tavolo preso a prestito da un'osteria vicina fu la tribu­na degli oratori, poi alcuni compagni intraprendenti trovarono delle tavole e costruirono un piccolo palco stabile a ridosso di un gruppo di grandi platani che facevano da fondale e da quinte. Non esistevano, allora, microfoni o diffusori: gli oratori erano abituati agli alti toni anche quando, come avveniva quotidiana­mente durante lo sciopero, essi si intrattenevano con gli uditori familiarmente e senza pose e accenti tribunizi.
E Palmiro Togliatti rievocando questi anni, in cui era studente a To­rino con Antonio Gramsci, aggiunge:
Nel 1912, nel 1913, a certe ore dei mattino, quando abbandonavamo l'aula e dal cortile uscivamo nei portici avviandoci verso il Po, incontravamo frotte di uomini diversi da noi, che pure seguivano quella strada. Tutta una folla si diri­geva verso il fiume e i parchi sulle rive, dove in quei tempi venivano confinati i comizi dei lavoratori in sciopero o in festa ... .
In questi ricordi personali torna appunto l'impressione di un grande fatto sociale ed umano: l'accettazione cosciente del prezzo della lotta, una presenza continua, un contarsi e ricontarsi giorno per giorno, per ricevere intanto i primi sussidi della Federazione, per controllare le mosse dell’avversario per fronteggiare una situazione difficile.

image-1image-1image-1Il grande fiume
Sul Po fin dal 1624 venivano organizzate “corse nautiche”.
27/6/1891 ospitò la 1° regata Internazionale Europea organizzata da Armida, Cerea, Esperia, Caprera con partecipazione di Francia, Germania, Spagna e Belgio.
Nel tratto sotto il monte dei Cappuccini con una profondità che andava dai 50 cm ai 2 metri, fu eretto un edificio galleggiante nel quale ci si poteva bagnare. Intorno alla vasca c’era una galleria coperta con cabine per cambiarsi. Nel 1869 l’ingresso era 60 centesimi. Più economica l’area delle rive prospicienti l’ex zoo (parco Michellotti) dove veniva calato un recinto protettivo di frasche e palafitte.
Nel 1878 il fiume era molto pescoso e noto per le anguille, ritenute migliori di quelle del lago Maggiore.

Vedi l'approfondimento sulle spiagge

Vedi: Le trattorie di Borgo Po

image-1La caserma degli Alpini
La Caserma del Rubatto, come racconta Pietro Baricco nella sua “Torino descritta” del 1869, «… fu edificata da pochi anni sulla riva destra del Po, nel Borgo del Rubatto. Ha belle scuderie e capaci tettoie e una palestra d’equitazione».
Con l’istituzione nel 1872 del Corpo degli Alpini, la Caserma del Rubatto, in corso Moncalieri n. 43, ospita il 3° Reggimento Alpini. Anche dopo la Prima Guerra Mondiale, quando la caserma prende il nome di “Monte Nero”, continua a usare il vecchio nome.
L’8 ottobre del 1922, alla presenza del Re Vittorio Emanuele III, il 3° Alpini ricorda con l’inaugurazione di un monumento i suoi 5.232 caduti in guerra.
Nel 1963, la Caserma del Rubatto viene demolita e al suo posto, negli anni ’70, è costruita la Scuola Media Statale “Ippolito Nievo”, con ingresso in via Mentana 14.

Propaganda tedesca
Dal 1943 al 1945 in corso Moncalieri 56 aveva sede il comando tedesco della Propaganda Staffel che oltre al lavoro di propaganda aveva il compito di controllare l'informazione italiana. Qui lavorò il giornalista-filosofo Ludwig Alwens che si occupava della censura sui quotidiani.

image-1image-1I "Marinaretti" la casa dei Balilla del Mare

La Casa del Marinaretto, costruita in viale Dogali per i "Ballilla del Mare" venne progettata dall'architetto Costantino Costantini (che realizzò anche la casa del Balilla in piazza Bernini, poi diventata sede dell'ISEF) nel 1935 e demolita nel 1961 in seguito ad una delibera del Consiglio Comunale.
Sorgeva in viale Dogali


Il ponte dei tintori
Il ponte vecchio (al fondo di piazza Vittorio), metà in pietra e metà in legno era in appalto ai tintori che abitavano fuori le mura nel borgo delle lavandaie e dei pescatori. Facevano pagare un pedaggio in denaro o in natura. Pare che in mancanza di soldi accettassero anche le preghiere e i baci delle belle popolane.

Salvataggio doloroso
Il 28 luglio 1774 vengono predisposti due corpi di guardia, uno al borgo Po ai piedi del monte dei Cappuccini e l’altro al Borgo del pallone (Dora) per soccorrere gli annegati. Vengono anche fissate ricompense e procedure di soccorso, tra cui: “introdurre fumo di tabacco per foro deretano, col mezzo di una macchina fumatoria, e quando si trovi persona dell’arte si potrà estrargli sangue, e specialmente dalle vene giugulari..”

image-1image-1Il ponte dei Suicidi
Il ponte in ferro denominato “Maria Teresa”, più tardi sostituito da quello in pietra” Umberto I” (al fondo di corso Vittorio Emauele II) aveva la triste prerogativa di essere il preferito dai suicidi. Ci fu anche un doppio tentativo: nel giugno del 1884 il soldato del 5° arrtiglieria, Daniele Panisotto fu salvato da tre barcaioli, ma una volta ripescato si gettò di nuovo nel fiume per essere nuovamente salvato dagli stessi barcaioli che, per sicurezza, lo condussero personalmente all’ospedale.
Su questo ponte si pagava un pedaggio.

Leggi l'approfondimento sul ponte Maria Teresa

image-1image-1Ponte Umberto I
Il 16 settembre 1903 si apre al transito il ponte Umberto I che sostituisce quello denominato "Maria Teresa". Il nuovo ponte venne concluso e inaugurato ufficialmente il 25 maggio 1907. I gruppi statuari vennero posti nel 1911

Vedi le immagini originali della costruzione del ponte



image-1image-1La strage di Pian del Lot
Il 30 marzo 1944, sul ponte Umberto I, in un agguato dei GAP (Gruppi Azione Partigiani) fu ucciso il caporale tedesco Walter Wohlfahrt. Come appresaglia furono fucilati alcuni giovani rastrellati presso la Val di Lanzo e la Val Pellice, reclusi nel carcere "Le Nuove". L'esecuzione avvenne al Pian del Lot in collina, nell'attuale Parco delle Repubbliche Partigiane Piemontesi dove Wohlfahrt prestava servizio in una postazione anti-aerea della Flak.
Secondo il testimone oculare Giovanni "Oscar" Borca, un partigiano catturato, i prigionieri una volta sul posto, con le mani legate, furono portati nei pressi di una fossa dove a gruppi di quattro furono falciati dalle mitragliatrici; alcuni di essi tuttavia erano ancora vivi quando furono ricoperti dalla terra. Borca si salvò perché aveva proprio il compito di ricoprire la fossa comune; al suo rientro in carcere gli fu intimato di restare in silenzio sull'accaduto. I corpi furono riesumati il 27 maggio 1945, a guerra finita. Nella fossa si contarono 27 giovani massacrati, dei quali 7 non identificati; studi recenti degli ultimi anni sono riusciti a dare un nome a 3 di questi cadaveri.
Ogni anno, il 2 aprile, viene celebrata, nei pressi del luogo dell'eccidio, una cerimonia commemorativa delle vittime della strage.

La prima orchestra radiofonica
Al conservatorio aveva studiato il maestro Cinico Angelini che, tra le due guerre, ebbe grande successo. Abitualmente suonava alla sala danze Gay dove si esibivano gli artisti più in voga dell’epoca come Alberto Rabagliati, Pippo Barzizza e il trio Lescano. Il locale era conosciuto col nome della “sala d’ij malmarià” perchè frequentato da sposati in cerca di avventure.
Angelini nel 1930 formò la prima orchestra radiofonica stabile all’americana con fiati, contrabbasso, batteria e pianoforte. Fu il primo a inserire in un’orchestra la figura del cantante e a trasmettere in diretta musica da ballo, proprio dalla sala Gay.

Mulini
Verso Cavoretto i Mulini omonimi e le Molinette (che diedero il nome popolare all’Ospedale che in realtà è intitolato a San Giovanni Battista). A valle del ponte Umberto I c’erano i Mulini della Rocca e vicino alla Madonna del Pilone quelli delle Catene (noti anche per il miracolo).

Mira-Lanza
Nella zona dove ora c’è l’ospedale delle Molinette erano presenti numerosi mulini alimentati dalla bealera Cossola.
Qui era attiva la fabbrica Lanza, che produceva candele, sapone e glicerina. L’attività era iniziata nel 1838, promossa dai fratelli Giovanni e Vittorio Lanza; trent’anni dopo dava lavoro a centocinquanta dipendenti.
Cavour la definì “industria prioritaria del Regno di Sardegna”.
La bealera Cossola attivava la turbina idraulica che muoveva i macchinari; se il livello dell’acqua era troppo basso, interveniva un sistema a vapore, alimentato a carbone e torba.
L’azienda aveva una posizione favorevole anche per la vicinanza dello scalo ferroviario, facilitando le spedizioni.
All’inizio del ‘900 l’azienda si fuse con l’“Oleificio Lombardo-Piemontese T. Ovazza” e nel 1924, la “Premiata Reale Manifattura di saponi e candele steariche fratelli Lanza” si fuse con la veneziana “Fabbrica di candele di Mira” creando la notissima Mira-Lanza.
La famiglia Lanza abitava in un edificio all’interno della fabbrica, partecipando alla vita sociale della Barriera di Nizza. Infatti donò una parte dei propri terreni per la costruzione dell’asilo di San Michele (in via Abegg).

 

image-1L’ospedale più grande
La costruzione del San Giovanni Battista, universalmente conosciuto come “Molinette” principale ospedale cittadino, inizia nel 1930 sul progetto di Eugenio Mollino (1873-1953) e Michele Bongioanni. Copre un’area di 139.000 metri quadrati e si articola in 19 padiglioni di altezza variabile tra i due e i quattro piani fuori terra, collegati da gallerie vetrate a due livelli, secondo uno schema funzionale dettato dalle tecniche ospedaliere del tempo. I posti letto previsti sono 1.160. Continue necessità di ampliamento della capienza e l’evoluzione delle funzioni ospedaliere hanno imposto numerose sopraelevazioni e trasformazioni nel corso degli anni.

Il grande pensatore
Il filosofo, partigiano e storico del diritto italiano, considerato uno dei più importanti pensatori liberali italiani del XX secolo, Alessandro Passerin d’Entrèves (1902-1985) abitava in strada ai Ronchi 48.


Giardino zoologico
Il 20 ottobre 1955 viene inaugurato il giardino zoologico al parco Michelotti intitolato ai fratelli Augusto e Guido Molinar titolari di una ditta specializzata nell’importazione di animali esotici. Resterà aperto fino all’1 aprile 1987.

image-1I Tori di Gribaudo
Nel 2007 l’artista torinese Ezio Gribaudo (1929) ha donato alla città l’opera scultorea “Tori”, composta da tre colonne a base rettangolare in corteco sormontate da tre teste di toro in vetroresina che è stata piazzata in largo Moncalvo.

Vedi la panoramica interattiva a 360° di largo Moncalvo - 1

Vedi la panoramica interattiva a 360° di Largo Moncalvo - 2

 

image-1image-1858 - Ricovero Carlo Alberto
In corso Casale 58 sorgeva il Ricovero di Mendicità, intitolato a Carlo Alberto. Nell'estate del 1943 l'edificio venne bombardato, distrutto e ricostruito alcuni anni dopo come casa di riposo







859 - Una tradizione fiorita
In via Moncalvo 47 dal 1900 operava il floricoltore Gilardi che, nel 1998 è stato sostituito dall'attuale vivaio Sgaravatti.

image-1857 - Figlie dei Militari
Inaugurato nel 188 per ospitare l'Istituto fondato nel 1774 dalla marchesa Del Carretto, precedentemente ubicato in via San Domenico, poi alla Villa della Regina. Nel 1940 fu usato come ospedale militare, poi ospitò la Questura, la Banca d'Italia, quindi fu usato come caserma da alcune formazioni partigiane. Negli anni 50 fu riconvertito per l'attuale uso scolastico.

 


image-1869 - La caserma delle torture
Al numero 22 di via Asti si trova la caserma Alessandro La Marmora, utilizzata dalla Scuola di Applicazione dell’Esercito. Venne costruita nel 1887 col nome di Dogali.
Fino al 1920 ospitò il V reggimento Genio poi il IV reggimento Bersaglieri ciclisti e venne intitolata ad Alessandro La Marmora. Dopo l’8 settembre 1943 ospitò il quartier generale dell’UPI (Ufficio politico investigativo della Guardia Nazionale Repubblicana) e trasformata in luogo di detenzione e di tortura per tutti i sospetti di connivenza con la resistenza.

Vedi l'approfondimento e i documenti sull'attività dell'UPI di via Asti dal 1943 al 1945

Vedi le foto delle caserma di via Asti

869 - La prima aula bunker
Nel 1976 all'interno della caserma di via sti venne costruita l’aula bunker per ospitare in sicurezza il processo contro i capi storici delle Brigate rosse. Dall’interno della gabbia dove  era rinchiuso con Alberto Franceschini, Paolo Maurizio Ferrari, Prospero Gallinari e altri brigatisti, il 10 maggio 1978 Renato Curcio rivendicò pubblicamente l’assassinio di Aldo Moro. Con la costruzione della casa circondariale delle Vallette e di un’altra, più moderna aula bunker, la caserma cadde a poco a poco in stato di abbandono: a più riprese si parlò di una sua riqualificazione, si tentò di riconvertirla in vari modi, venne utilizzata dagli alpini come sede organizzativa dell’adunata nazionale del 2011 e ospitò i volonatri della comunità ‘Emmaus’.


image-1870 - Ciminero nel Malvasium
In quest'isola, già prima dell'anno mille, è segnalata la chiesa dei Santi Bini ed Evasio. Nel 1659 venne ricostruita col nome di S.Maria di Benevasio. Dal 1739 ebbe annesso un piccolo cimitero, usato fino al 1831, dove venivano seppelliti i poveri dell'ospedale di carità.
La zona, conosciuta anticamente come Malvasium, ospitava dal 1333, nell'attuale via Ornato, una cappella dedicata ai Santi Marco e Leonardo. Riedificata nel 1740, venne dismessa nel 1811. Proprio in ricordo di questa cappella, inizialmente la Gran Madre era stata intitolata ai santi Marco e Leonardo.

 

870 - Monastero delle Clarisse Cappuccine e chiesa di Nostra Signora del Suffragio
La chiesa della Madonna del Suffragio è in via Cardinal Maurizio 5, angolo corso Casale, dove anticamente c’era un monastero risalente alla metà del secolo XVII, poi demolito già nel corso dello stesso secolo.

Leggi l'approfondimento sul monastero delle Clarisse Cappuccine e sulla chiesa della N.S. del Suffragio

image-1870 - La sposa strangolata
Il 23 settembre 1961, in via Martiri della Libertà 27, Matteo “Nino” Sciretta, in una crisi di gelosia, strangolò la moglie ventenne nel retrobottega della sua bottega di calzolaio. Venne condannato a 20 anni di carcere.


La via del malaffare
Via Ornato e la zona del Malvasium, dall'800 fino alla metà del 900 era molto malfamata, al punto che le guardie del Vicariato avevano grossi problemi ad entrarvi.

876 - Un atelier creativo
In via Asti 17 c’è lo studio di Andrea Bruno (1931), architetto di fama internazionale che tra l’altro ha progettato il “Musée National des arts et métiers” a Parigi, il Museo della Corsica a Corte e la ristrutturazione del castello di Rivoli.
In precedenza era l’atelier dello scultore Edoardo Rubino che realizzò il Faro della Maddalena (1909).

image-1877 - Lo studio futurista
In via Cardinal Maurizio 30 c’era lo studio del pittore Luigi Colombo, in arte Fillia (1904-1936), e dello scultore Mino Rosso (1904-1963), esponenti di spicco del futurismo.

 

 

 






886-887 - Contrabbando
Nella prima metà dell’800, i cantoni di S.Evasio e S.Bino erano sede dei commerci illeciti e del contrabbando della carne, del vino e dell’olio.

image-1Mastroianni a Torino
In via Bezzecca 14, nella villa Berry, c’era lo studio-abitazione dello scultore Umberto Mastroianni (1910 - 1998), zio di Marcello, che si trasferì in città nel 1926 dove affinò il mestiere di scultore nell'atelier di Michele Guerrisi. Qui trovò amici e i compagni di avventura: il pittore Luigi Spazzapan, lo scrittore e pittore Guido Seborga, il musicista Massimo Mila, che avevano con lui un certo fastidio verso l'élite chiusa della città, ma anche la convinzione che nella Torino industriale e casoratiana si combatteva in quel momento, la battaglia per il rinnovamento dell'arte e della cultura italiana. Mastroianni donò alla città la cancellata del teatro Regio, intitolata "Odissea Musicale".



889 - Centro Paideia
In via Moncalvo 1 dove c’era l’Istituto “Nostra Signora”, gestito da suore tedesche, sorge il nuovo Centro Paideia. Il progetto è stato ideato dalla Fondazione Paideia che, da 25 anni, si occupa di garantire accoglienza e sostegno a favore dei bambini disabili e alle loro famiglie.

891 - Carrozze
Nel 1835 Battista Diatto creò sulla riva sinistra del fiume, dalla Gran Madre al ponte Umberto I, gli stabilimenti della Diatto, avvalendosi come fonte di energia delle acque del vicino fiume Po. Nata come fabbrica di carrozze, passò ai vagoni ferroviari vendendoli in tutto il mondo. Nel 1906 si trasferì in via Frejus (angolo via Cesana) e nel1918 si fuse con la Fiat.
 I fratelli Pietro e Vittorio Diatto, successori di Guglielmo, erano appassionati di automobili, e vollero dunque fondare loro stessi una casa automobilistica allorché l'acquisto di un modello Ceirano li lasciò insoddisfatti e ne nacque una controversia al termine della quale la Ceirano dovette riprendersi l'auto restituendo l'intero importo agli acquirenti. La sentenza del tribunale stabilì per la prima volta la necessità di garanzie che le case automobilistiche dovevano fornire a favore degli acquirenti

Vedi le immagini della Diatto di corso Moncalieri e di via Frejus

image-1891 - Circolo Eridano
Nasce dalla risistemazione del parco del Valentino attuata su progetto del sindaco Ernesto Bertone di Sambuy, nell'anno 1863.
La primitiva sede fluviale sul Po sorse nel 1868 secondo disegno dell'Ing. Pecco con un'originale forma ottagona a pagoda, ai piedi del castello del Valentino ed affiancato all'approdo dell'altra società di canottieri 'Cerea', anch'essa nata nel 1863.
L'attività del Circolo Eridano si distingueva da quest'ultima società per affiancare, alla pratica remiera, altre attività non solo sportive ma anche conviviali.
Il 6 agosto 1896 il Circolo Eridano veniva rilevato dal Circolo degli Artisti di Torino, che ne potenziava la tradizionale attività di canottaggio e, nello stesso tempo, lo utilizzava come sede di gare di nuoto, di atletica e di bocce, ma soprattutto introduceva l'organizzazione di geniali feste, fra le quali era rituale quella della zattera galleggiante, che ospitava un banchetto di oltre cento persone.
Per l'esposizione universale del 1911 la vecchia sede venne abbattuta, per essere ricostruita sull'altra riva del Po, presso la barriera di Piacenza, l'attuale corso Moncalieri al n. 88

image-1image-1Canottieri Caprera
Il 15 Aprile 1883 viene fondata alla barriera di Piacenza la canottieri Caprera, in omaggio a Garibaldi, con divisa sociale a righe bianche e rosse.
Nel 1884 vengono organizzate per la prima volta le regate internazionali e la Caprera si rivela subito vincente.
Dal Comune si ottiene la cessione di un terreno sulla sponda sinistra del Po, a monte della Canottieri Eridano. La nuova sede sociale è inaugurata nel dicembre 1885.
image-1Crimea una zona militare
Fino alla fine del XIX secolo la zona della Crimea era prevalentemente militare e praticamente senza case. C'era (lo si vede bene nella mappa a fianco ingrandita) un grande Tiro al bersaglio e un poligono (costruito dopo il 1739) per le Regie Scuole di Artiglieria

Caserma Montenero

Dove ora sorge la scuola media Ippolito Nievo (via Mentana 14) c'era la caserma Montenero, già stabilimento militare. Nel 1827 divenne sede del 3° reggimento alpini.

 

 

 




 


image-1892 - Il poligono di artiglieria
Il 16 aprile 1739 vennero create le Regie Scuole teoriche e pratiche di Artiglieria e Fortificazione. Per le esercitazioni sul campo fu realizzato un poligono sulla riva destra del Po, presso il Monte dei Cappuccini.

 

 

La casa del Rettore
Il professor Mario Allara (1902-1973) giurista, rettore dell’Università, abitò in via Cosseria 11.

image-1893 - Un suicidio per disperazione
Il piazza Gran Madre 2 nel 1905 c’era un albergo gestito da Teresa Marchisio di 42 anni. Suo marito, Giulio Vallegra, pieno di debiti e dedito al vino, l’assale perchè le firmi una cambiale. Ne scaturisce una lite furibonda, lei torna a casa, in via dei Mille 39, e si suicida gettandosi dal 5° piano.

893 - Il caffè delle Vigne
Nel 1845 venne aperto il caffè delle Vigne, dove oggi c'è il Gran Bar.



893 - La piola preferita da Cesare Pavese - l'Osteria della Vittoria, la più antica della città
Nel giugno del 1968 La Stampa scriveva: La più vecchia osteria di Torino chiuderà i battenti a fine mese. È l'Osteria della Vittoria sorta 200 anni fa nel vetusto edificio di corso Moncalieri 3, presso la Gran Madre. L'attuale proprietario, Eugenio Boltri, che l'ha rilevata nel 1933, racconta: «Allora un "quartino" di quello buono costava 75 centesimi, adesso si paga 60 lire. Non è molto, ma i gusti sono cambiati e i clienti diventano sempre più rari. Più nessuno trova il tempo di fermarsi all'ombra del pergolato per godere il fresco: adesso tutti hanno fretta».
La piòla di corso Moncalieri, cara a Cesare Pavese che vi trascorreva parte delle sue serate invernali davanti ad una tazza di «vin brulé » e ritrovo di « cospiratori» o di «sovversivi» (cosi dicevano i fascisti) ha perso con gli anni lo sua aria vagamente « bohémienne », dove modesti cantastorie inseguivano sulla chitarra le loro ironiche filastrocche. «Fino a qualche anno fa -racconta il Boltri - mia figlia Ginetta suonava la fisarmonica ogni sera. Poi ha dovuto smettere, perché si pagava per i diritti di autore piu di quanto si guadagnava ».
Nel veccbio locale si incontrano oggi soltanto pensionati cbe tra un «to­scano» e l'altro rievocano i ricordi della loro gioventu. In corso Moncalieri le auto sfrecciano veloci fra una babele di rumori, il Po si intravede a mala pena oltre gli alberi intaccati dallo smog. L'anziano oste dice con voce amara: «Tutto è cambiato, il mio mondo è finito. Cosi ho deciso di chiudere. È giunto anche per me il momento di andare in pensione ». Guarda la pergola che sa di antico e di stanco.
Ora l'edificio sarà demolito per far posto ad un ristorante degno della vita moderna e del progresso. Sarà scomparsa un'altra memoria, un angolo simpatico della vecchia Torino.

image-1La zona si chiamava Rubatto
Il vecchio nome che caratterizzava questa zona "Rubatto" deriva da quello della famiglia Rubatti. Nel 1699 l'architetto Rubatti fu incaricato di predisporre la zona tra piazza Castello (l'attuale via Po non c'era ancora) e il fiume.
Il complesso di bassi fabbricati denominati appunto "Rubatto" fu edificato tra il 1860 e il 1885, al posto delle scuderie napoleoniche, dove ora c'è via della Brocca.
Secondo un'altra interpretazione Il Rubatto prese nome dalla villa e dalla tomba di famiglia dei Conti Rubatto, Signori di Revigliasco e di Villastellone, antica famiglia torinese. Nel loro stemma comparivano dei frantoi da biade (in dialetto: rubatt).

Le feste del Rubatto
L’antico Borgo del Rubatto, che si estendeva lungo il Po, ai piedi della collina, dal ponte Re Umberto al ponte Isabella, era abitato in prevalenza da lavandai e pescatori.
Nel '500 una di queste famiglie fece un voto per il giorno di San Giacomo (25 luglio). Da allora e fino alla fine dell'Ottocento si festeggiò ogni anno questa festività con la "Festa del Rubatto".
Le celebrazioni prevedevano il dono simbolico di uno storione al Vescovo di Torino e la benedizione da parte di quest'ultimo di una tinozza contenente dei piccoli pesci ai quali era stato - con infinita pazienza e abilità - annodato un nastrino : i pesci venivano poi gettati nel Po e i giovanotti del Borgo - tuffandosi - facevano a gara per ripescarli a mani nude. Il primo che vi riusciva diveniva il "Re della Festa" ed apriva il gran ballo serale organizzato sotto un padiglione in riva al fiume.

Il Convitto delle Vedove Nobili
In via Felicita di Savoia, prosecuzione oltre il corso Giovanni Lanza della via Gioanetti, che dal corso Moncalieri sale, da nord, al Monte dei Cappuccini. La via conduceva a quello che un tempo era detto Regio Convitto delle Vedove Noblli, fondato nel 1785 dalla Principessa Felicita di Savoia.figlia di Carlo Emanuele III e sorella di Carlo Felice. L'edificio fu costruito nel 1787 su progetto dell'architetto Galletti. Il Convitto mutò poi il nome originario in quello più democratico «delle vedove e nubili». Nell'edificio sono conservati molti ricordi, fra i quali un ritratto del duca Emanuele Filiberto in cui è rappresentato con sei dita in una mano, anomalia anatomica che il duca non possedeva. Si dice che in quei tempi alcuni pittori abbiano usato quell'artificio per magnificare la potenza del personaggio raffigurato, ma non è da escludere anche un errore dell'artista.

image-1895 - Il Navigatore
In questa zona le finestre a pian terreno erano munite di inferriate ricurve (“fra”). La zona era abitata soprattutto da gente che, emigrata in America, era tornata in città.
Secondo un’antica usanza il Municipio, quando decideva di urbanizzare una nuova zona, appaltava i terreni tra gli aspiranti in base al “tiro di una pietra”.
Più il sasso veniva gettato lontano, più terreno si aggiudicava il lanciatore (impegnandosi a costruirvi delle case). Da questa usanza deriva, probabilmente, l’espressione “tirè ‘l roch”.
Così i costruttori erano soliti esercitarsi nel tempo libero lanciando pietre da una sponda all’altra del Po.
Uno di loro, Enrico Navone 1859-1937, futuro commendatore, all’epoca semplice muratore, era particolarmente bravo lanciando da una sponda all’altra prospiciente corso San Maurizio. Riuscì così ad aggiudicarsi molti appalti e a costruire diverse delle casette della zona dietro la Gran Madre.
Nuotatore espertissimo si tuffava dal ponte della Gran Madre, operando diversi salvataggi. Ebbe 16 figli e fu soprannominato “il navigatore”, anche perchè firmava le sue costruzioni con l’effige di un veliero.

image-1image-1Il cuore murato
L’Opera pia Lotteri fu fondata nel 1874 dal prete missionario Enrico Lotteri come casa di convalescenza per donne e bambini poveri. Dal 1893 si stabilì nella sede attuale di via Villa della Regina 21 e nel corso degli anni ampliò le sue dimensioni e attività in ambito di accoglienza e servizi ospedalieri. Oggi è un istituto di ricovero e assistenza.
Alla morte del Lotteri (nel 1886) si diffuse la voce che il suo cuore era stato murato nell’istituto, diceria mai confermata fino al 2002 quando durante una ristrutturazione è stato scoperto dentro una struttura metallica. Ora è esposto in una teca dell’Istituto.

 



Il talent scout
Giacinto Ellena (1914-2000) calciatore, allenatore e collaboratore del Torino, uno degli artefici del prolifico vivaio granata, abitava in via Biamonti 15.

image-1image-1896 - Un delitto misterioso
L’Ing. Erio Codecà venne ucciso nell’aprile 1952 nei pressi della sua abitazione in via Villa della Regina 24 da un colpo di pistola. L’evento scatenò per anni continue indagini e congetture ciascuna sovvertita dalle successive e tutte regolarmente dissolte nel nulla.
Codecà era un personaggio cardine della Fiat e attorno a lui ruotava buona parte del processo di innovazione e crescita tecnologica.
Un informatore disse che l’esecutore era stato un ex partigiano, Giuseppe Faletto detto Briga che ora vendeva pesce a Porta Palazzo. I carabinieri provarono ad incastrarlo con due infiltrati, riferendosi all’omicidio Codecà, lo contattarono per assassinare il direttore della Fiat Vittore Valletta. Briga parve interessato così venne arrestato. Il 15 ottobre 1958 si conclude in Corte d’Assise d’Appello il processo contro il Faletto, accusato anche di vari omicidi durante la guerra di Liberazione e successivamente (sulla base di una contestatissima registrazione magnetica) dell’assassinio dell’ingegnere Codecà. Mentre viene condannato a 20 anni per i primi reati è assolto per il secondo: l’assassino dell’ingegnere Codecà resterà così irrisolto. Uscendo dal tribunale lanciò una maledizione ai giudici: “Sono malato, ma un giorno uscirò e voi allora sarete già tutti morti!”

image-1Lo scultore dei tori
In via Biamonti 15bis c’è lo studio dello scultore, pittore e grafico Ezio Gribaudo (1929), che ha regalato alla città la scultura “Tori” piazzata in largo Moncalvo.






897 - Una giovinezza inventata
In corso Giovanni Lanza 3, il centro universitario Villa San Giuseppe dove, tra l’altro, è stato ambientato il romanzo Una giovinezza inventata di Lalla Romano.

La Collina
La zona collinare iniziò ad essere abitata dopo l’anno Mille quando diminuirono i pericoli rappresentati da lupi e briganti. Era un luogo che godeva di una relativa tranquillità, abbastanza al sicuro dalle vessazioni delle soldatesche e dalle rappresaglie delle fazioni.
Solo nel Cinquecento l'esigenza della "vinea ultra Padum" da parte dei cittadini facoltosi attribuì alla collina una "funzione di svago, di rifugio, di serena ospitalità".
Nel Seicento, però, il termine "rifugio" assunse un significato tutt'altro che sereno, secondo quanto ci riferisce il Fiochetto nel suo "Trattato", laddove spiega l'impellente necessità, da parte dei cittadini di procacciarsi un asilo più sicuro durante l'infuriare delle pestilenze.
A un certo punto lo stesso Fiochetto esclude persino quella illusoria speranza e documenta implicitamente il suo scetticismo riferendo il macabro caso occorso al dottor Roncino, che, raggiunta la sua "vigna", "nel proprio letto trovò un cadavere incognito del tutto spolpato e come uno scheletro che ivi lasciò come sicura guardia della casa, à terrore de' nemici".
Diverse situazioni turbarono la serenità della villeggiatura collinare anche nei secoli seguenti, finchè, durante il memorabile assedio del 1706 vennero bruciate la maggior parte delle abitazioni e l'agricoltura subì un arresto pregiudizievole per il rifornimento della città. Ciò spiega come mai le Ville superstiti del sec. XVI e XVII si possono contare sulle dita di una sola mano: le "vigne" Pingone e di Madama Cristina, la Villa della Regina, un paio di palazzine del Conte d'Agliè e una parte della villa Ruscalla.

image-1898 - Villa della Regina
Voluta dal cardinale Maurizio di Savoia alla fine della guerra dei cognati, quando smise l’abito talare per sposare Ludovica figlia tredicenne di Madama Reale.
Ospitò Anna Maria d’Orleans, moglie di Vittorio Amedeo II, quindi la nuova regina Polissena d’Assia seconda moglie di Carlo Emanuele III.
Divenne poi quartier generale degli spagnoli durante l’assedio.
L’edificio nel 1679 viene ceduto all’Ospedale di carità per adibirlo a convalescenziario, ma i locali non sono adatti.
image-1image-1Nel 1714 Vittorio Amedeo II lo cede di muovo all’Ospedale di Carità che lo usera fino al 1724.
Poi viene venduto alla marchesa di Caluso Gabriella Mesmes de Marolles che la lasciò alle Missioni di San Vincenzo de Paoli.
Viene poi requisita dai francesi di Napoleone che vi sale personalmente a cavallo per una visita nell’aprile del 1805. Viene usata come rifugio delle suore di carità e dei missionari infermi, che vengono sloggiati quando Paolina Buonaparte, moglie del governatore di Torino, decide di trasferirvi le sue scuderie. Tenta anche di allestirvi una piccola corte, che viene però disdegnata dalla nobiltà della città.
Dal 1809 al 1814 diventa ospedale militare, poi venduta a privati e, nel 1828, fa parte della dote della moglie del banchiere Giovanni Nigra, patriota e politico, che negli anni del Risorgimento ospitò numerose riunioni con Cavour, D’Azeglio, Cialdini, Gioberti, Rattazzi e molti altri protagonististi dell’unità nazionale.

Vedi le foto del parco della Villa della Regina

Visita virtuale alla Villa della Regina durante la ristrutturazione

Le "Vigne" sulla collina (dalla Villa della Regina fino all'Eremo) nella mappa del 1784

image-1Villa d'Agliè
Già Villa Morel, in strada Villa d'Agliè 26 è una villa di origini seicentesche situata sulla collina di Torino, immersa in un parco storico di ippocastani e tigli. È una delle poche ville torinesi ad essere rimasta pressoché immutata e ancora oggi si presenta in tutto il suo fascino settecentesco, con i suoi soffitti a cassettoni decorati, le stanze con carta da parati cinese e il suo parco. Il suo ampio giardino è entrato dal 2007 nel Registro dei Giardini Storici grazie alle sue origini seicentesche e alle modifiche per mano dell'architetto paesaggista Russel Page.

Vedi l'approfondimento su Villa d'Agliè

A Torino nel '600 si correva il Palio (leggi la monografia)
Nel 1622 per iniziativa del cardinale Maurizio di Savoia ebbe inizio la tradizione del Palio che, inizialmente si correva in Borgo Po dalla villa del cardinale (l'attuale Villa della regina) fino alla chiesa di San Antonio in via Po.

image-1Barriera della Villa della Regina
Dopo l’abbattimento, da parte dei francesi, delle mura che proteggevano la città, i nuovi confini cittadini vennero delimitati dalle cinte daziarie, che divisero la città in una zona interna e una esterna.
Le merci che attraversavano questa cinta dovevano pagare una tassa ai caselli di controllo, detti “barriere”.

La prima cinta, stabilita dallo Statuto albertino, fu realizzata nel 1853 e ampliata nel 1912. In un perimetro di 16,5 km, includeva l’area compresa fra la Cittadella, il cimitero (attuale Cimitero Generale) e San Salvario (nota zona di contrabbando, che si voleva debellare). Per lasciare spazio al costante ampliamento della città, la superficie totale misurava in totale 1.700 ettari, oltre quattro volte quella effettivamente urbanizzata all'epoca (circa 400 ettari).

La cinta aveva due caselli di controllo lungo le ferrovie (verso Genova e verso Susa), oltre a quelli di Nizza, Stupinigi, Orbassano, Crocetta, San Paolo, Foro boario, Francia, Martinetto, Lanzo, Milano, Abbadia di Stura, Regio Parco, Vanchiglia, Casale, Villa della Regina (visibile nella foto), Piacenza, Ponte isabella, aree urbane quasi tutte ancor oggi identificabili come quartieri e barriere.

image-1image-1La cinta daziaria
Il muretto che divide in due corso Quintino Sella, dopo piazza Hermada, era stato eretto come parte della vecchia cinta daziaria dell’800. Il muretto era completato da una cancellata per impedire lo scavalcamento. Alcuni tratti collinari sono stati lasciati, togliendo la cancellata in ferro sovrastante al muro, come in corso Giovanni Lanza tra corso Moncalieri e via Crimea, perchè servono anche da terrapieno

Piano Generale dell'andamento della Cinta Daziaria sulla sponda destra del Po secondo il progetto del sott." in data 26 Aprile colla modificazione / approvata dal Consiglio Delegato in sua seduta 3 agosto 1853, E. Pecco ing.re», 1853. (ASCT, Decreti Reali, 1849-1863, Serie 1K, n. 11, fol. 110, all. fol. 112).

Avogadro a villa Chinet
Il celebre chimico e fisico Amedeo Avogadro (1776 – 1856) abitava con la famiglia nella «vigna Chinet», in via Mirabello 3, una tenuta del Settecento grande circa 43 mila metri quadri con una superba vista della città.

image-1image-1La curva delle cento lire
Dalla Diga del Pascolo (Parco del Meisino) si arriva al ponte sul Po e ad una grande curva perfettamente circolare e, chiamata "Curva delle cento lire" (che per la sua forma ricorda una moneta) di Lungo Stura Lazio, fino ad arrivare al vicino quartiere "Madonna del Pilone". Si tratta, quindi, di una grande curva viabile circolare: che ricorda, come forma, la moneta delle cento lire.


image-1La Barriera di Casale
La Società Anonima dei Tramways di Torino, detta comunemente "Belga" alla fine dell’800 aveva due linee che facevano capolinea alla Barriera di Casale (non più esistente, nell’odierna piazza Borromini):
Linea di Borgo Vanchiglia - partiva da Piazza Carlo Felice, procedeva per Via Lagrange, Via Principe Amedeo e Via Vanchiglia e arrivava alla Barriera di Casale. Era lunga circa 3400 metri.
Linea di Porta Susa - partiva dalla Barriera di Casale e arrivava a Piazza San Martino (ora Piazza XVIII Dicembre). Era lunga circa 3700 metri; il prezzo era fissato a 10 centesimi.

image-1image-1Le colonne di palazzo Reale
In via villa della Regina sono state utilizzate alcune delle colonne che erano state predisposte dal Castellamonte nel 1675 per la Galleria che doveva unire il palazzo Reale al teatro Regio. Il passaggio doveva essere elegantissimo, ornato con i marmi più pregiati del Piemonte.
In seguito Vittorio Amedeo decise di destinare quel passaggio alle più sobrie Segreterie di Stato, così le colonne rimasero inutilizzate in un deposito fino al 1850 quando vennero usate per abbellire la strada che portava alla Villa della regina.

image-1Piazza Hermada
Fino al 1989 era una piccola piazza con in mezzo una collinetta alberata. Una tranquilla oasi della Torino fin de siècle. Fino a quando il Comune ha deciso di farne in capolinea della nuova linea 3 della cosiddetta “metropolitana leggera”, un sistema ibrido di trasporto su rotaia in superficie che si avvale parzialmente di corsie riservate. Per farlo anche il vicino corso Gabetti è stato deturpato da un trincerone invalicabile. Ora questi "tram" sono già considerati obsoleti, la lnea 3 cancellata; rimagono solo il capolinea e il trincerone a deturpare la zona.

 

Precollinar Park
Il capolinea di piazza Hermada e il trincerone di corso Gabetti diventano: Precollinar Park

Vedi le immagini di Precollinar Park

 

 

 

 

image-1Pont Trombetta
All’imbocco della strada di Val San Martino, nella seconda metà del XIX Secolo si forma la frazione Pont Trombëtta, dal nome del ponticello sul rio San Martino. I primi edifici, a due/tre piani, vengono costruiti lungo il fronte via, fra le attuali via Luisa del Carretto (strada privata Itala Film), piazza Hermada e strada di Val S. Martino.



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Vedi le immagini di piazza Hermada
e di ponte Trombetta nel corso degli anni

 

 

 

 

image-1Lo scheletro misterioso
Il 14 aprile del 1931 nel corso dei lavori in via Val San Martino 8, decisi dal Comune per abbattere la casa che ostruiva il passaggio fra strada Val San Martino e via Luisa del Carretto, mentre si demolisce un balcone del primo, verso il piccolo cortile, si vedono delle ossa cadere insieme ai calcinacci.


image-1Il commissario Patti, della Sezione Borgo Po, indaga coadiuvato dal medico municipale dottor Andruetto: nelle due mensole del balcone vengono trovate altre ossa e le analisi appurano che si tratta dello scheletro di una giovane donna, murato circa 25 anni prima.
Questo ritrovamento suscita grande scalpore, l’indagine stabilisce che il corpo è stato tagliato in due, poi murato in due diversi punti, utilizzando cavità già esistenti del muro della casa, come due grossi condotti verticali all’interno del muro, fin dalla sua costruzione.
L’assassino, o gli assassini, dopo aver fatto a pezzi il cadavere, hanno gettato le due metà nei condotti dall'apertura superiore, nel solaio, poi li hanno murati. Il processo di decomposizione del cadavere è così avvenuto senza che all’interno della casa si percepissero fetori sospetti.
L’indagine risultò complessa in quanto la casa era stata costruita trentun anni prima, con numerosi cambi di inquilini. Inoltre i vicini non ricordavano nessuna giovane donne che abitasse lì. La vittima quindi doveva arrivare da fuori. Ma da dove?.
L’enigma che resterà insoluto scatenò la fantasia della gente e qualcuno associò il cadavere al furto di pellicce delle sorelle Gori (vedi sotto), avvenuto proprio nella casa dello scheletro nel 1914.

Vedi: villa Paradiso in strada Val San Martino 135

L'astuto commissario si finge ricettatore
L’11 dicembre 1914 all'inizio di via Luisa del Carretto (che allora era denominata via privata Itala Film) avvenne un clamoroso furto di pellicce ai danni delle sorelle Gori (per un controvalore di 63 mila lire, una cifra allora astronomica).
I ladri, però, caddero nella trappola tesa dal commissario di polizia Achille Intaglietta che finse ricettatore disposto a pagarle bene. Così già quattro giorni dopo il furto quasi tutta la banda era in carcere e anche parte della refurtiva, nascosta in corso Quintino Sella 20, recuperata.

image-1Motovelodromo Fausto Coppi
Inaugurato nel 1920 ospitò, oltre alle gare ciclistiche, partite di rugby e di calcio (il Torino vi giocò il campionato 1925-1926. Ospitò anche una partita ufficiale della Nazionale Italiana contro la Cecoslovacchia il 17/01/1926, con risultato 3-1).

Venne anche utilizzato per gare d’atletica e importanti eventi lirici, come l'edizione della Carmen e dell'Aida del 1929.
con i bombardamenti del 1942 subì pesanti danni e venne ricostruito nel 1947. Continuò ad ospitare rugby e ciclismo fino alla metà degli anni ottanta quando venne dichiarato inagibile.
Il 30 settembre 1990 è stato intitolato a Fausto Coppi, nel trentennale della scomparsa del campione.
Nel 1994 l'impianto è stato posto sotto vincolo dalla Sovrintendenza e attualmente ospita, solamente nel campo centrale, manifestazioni culturali e fieristiche.

image-1La caduta fatale di Serse Coppi
Il 29 giugno del 1951, Serse Coppi, fratello di Fausto, mentre  disputa il Giro del Piemonte: cade sui binari del tram, ad un chilometro dal motovelodromo dov’è posto il traguardo; si rialza, sciacquandosi la ferita alla testa con l’acqua della borraccia e conclude regolarmente la corsa, vinta dall’amico Gino Bartali, col quale si congratula sportivamente. D’improvviso però viene colto da dolori violentissimi al capo: tuttavia, i primi sintomi non allarmano particolarmente i medici, che si accorgono della gravità della situazione solamente quando, mezz’ora più tardi, lo sfortunato Serse perde i sensi. Viene trasportato d’urgenza alla clinica Sanatrix, e il chirurgo dispone un’operazione al cranio, tutto inutile,  muore alle 20.32 di quello stesso giorno, tra l’incredulità e la disperazione del fratello.



image-1image-1Il miracolo della Madonna del Pilone
Il 29 aprile del 1644 la quattordicenne Anna Maria Marchini cadde nei vortici del mulino. Mentre la gente cercava di recuperarla la madre pregava davanti a un pilone dove c’era un’immagine della Madonna. Alla donna sembrò di vedere la Vergine muoversi leggera sulle acque turbinose del gorgo.
In quel momento tutti gridarono: “Guarda, un miracolo, Margherita!”. La bambina viva emerse dal fiume.
La regina Maria Cristina di Savoia volle che attorno al pilone sorgesse una chiesa. Ancora oggi quel santuario è chiamato “Madonna del Pilone”.

Vedi le immagini della Madonna del Pilone

 

Festa delle pentole
Fino alla metà del XX secolo, molti cittadini, per ferragosto, si recavano per pranzare nel ristorante o al sacco nel parco in riva al Po, adiacenti alla chiesa della Madonna del Pilone. Tale costumanza era denominata "Festa dle pignate a la Madona dél Pilòn", ovvero "Festa delle pentole alla Madonna del Pilone

 

 

 

Traghetto sul Po
7 dicembre 1882 – Viene istituito un traghetto sul Po all’altezza della Madonna del Pilone: il traghetto, che serve agli abitanti di Reaglie e Pino per arrivare più rapidamente a Torino, perderà la sua utilità con la costruzione del ponte di Sassi e scomparirà prima dell’inizio della II guerra mondiale.

image-1La tragedia di Salgari
In corso Casale 205, la casa dove passò gli ultimi anni Emilio Salgari, (1862-1911).
Scrisse ottanta opere (più di 200 considerando anche i racconti) distinte in vari cicli avventurosi, creando personaggi indimenticabili come Sandokan, Yanez De Gomera e il Corsaro Nero. Molti suoi romanzi ebbero grande successo, ma furono soprattutto gli editori a beneficiarne. Salgari fu sempre in difficoltà economica, soprattutto dal 1903, quando la moglie iniziò a dare segni di follia.
Nel 1910 il grave peggioramento della moglie, che nel 1911 viene ricoverata in manicomio. Quell’anno Salgari si tolse la vita per la disperazione facendo harakiri, nel vicino bosco della Val San Martino dove, come un antico Samurai, si aprì lo stomaco con un rasoio. Lasciò una lettera ai figli ed una missiva sarcastica agli editori. Nel 1910 aveva già tentato il suicidio, ma era stato salvato. (Nel 1931 si suiciderà pure Romero, uno dei suoi quattro figli. Anche il più piccolo, Omar, nel 1963, si toglierà la vita buttandosi dal secondo piano del suo alloggio in via principessa Clotilde 31).

 

Le ultime lettere di Emilio Salgari
Ai figli: “Miei cari figli, sono ormai vinto. La pazzia di vostra madre mi ha spezzato il cuore e tutte le energie: Io spero che I milioni di miei ammiratori che per tanti anni ho divertiti e istruiti provvederanno a voi. Non vi lascio che 150 lire (510 Euro), più un credito di 600 lire (2.040 Euro) che incasserete dalla signora Nusshammer. Fatemi seppellire per carità, essendo completamente rovinato. Mantenetevi buoni e onesti e pensate, appena potrete, ad aiutare vostra madre. Vi bacia tutti, con il cuore disgraziato e sanguinante, il vostro disgraziato padre”.
Ai suoi editori: “A voi, che vi siete arricchiti con la mia pelle, mantenendo me e la mia famiglia in una semimiseria ed anche di più, vi chiedo solo che per compenso dei guadagni che vi ho dati, pensiate ai miei funerali. Vi saluto spezzando la penna”

image-1Franzoj ispiratore di Salgari
In una villetta di San Mauro, vicino all’abitazione di Salgari, abitò e morì Augusto Franzoj, uno degli ultimi avventurieri.
Molti si chiedono come Salgari riuscisse a narrare avventure ambientate nei paesi esotici, senza mai aver viaggiato. Sicuramente i libri furono, per lui, una fonte preziosa e nel febbraio del 1885 Salgari, giovane redattore della “Nuova Arena”, che già aveva pubblicato le prime avventure di Sandokan sulle appendici di quel quotidiano, ebbe modo di incontrare di persona un autentico protagonista di quelle avventure: Augusto Franzoj autore di “Continente Nero”.
Franzoj «Che senza domandare un centesimo al governo, si era spinto più di ogni altro nei lidi africani», tenne una conferenza al Teatro Ristori di Verona per raccontare le sue avventure.
Certo sapeva come affascinare gli ascoltatori: accompagnato dal fido moretto Wolda Mariam, «Giovane Gallas che gli salvò la vita più volte», spesso si spogliava per mostrare il suo torace possente segnato dalle cicatrici dei numerosi duelli, combattuti soprattutto a Torino: ben trenta, di cui cinque in cinque giorni.
image-1Franzoj asseriva che «Certe villanie si liquidano sul prato» e, se non glielo avessero impedito, si sarebbe battuto anche col colonnello Tancredi Saletta dopo che questi gli aveva notificato l'ordine di espulsione dall'Abissinia per una serie di articoli sul "Corriere di Roma" che non erano piaciuti ai comandi militari; quando lo sfidò, lasciandogli la scelta delle armi, il generale con molto spirito, gli avrebbe risposto: «Io scelgo l'arma... dei Carabinieri, e vi rimando in Italia ».
Sempre personaggio, a Torino Franzoj era solito passeggiare col suo fido Mariam, vestito con una livrea con bottoni dorati, brandendo uno scudiscio di pelle d’ippopotamo.
Salgari ammirava Franzoj che sembrava incarnare il carattere fiero e coraggioso dei protagonisti dei suoi romanzi. Lo "zingaro d'Africa" aveva percorso tremila chilometri da solo, , sull'altopiano etiopico, senza bussola e con poche carte. Era riuscito a farsi consegnare dalla regina di Ghera, una sorta di Circe d'Africa, i resti dell’esploratore Giovanni Chiarini, morto durante la prigionia.
Franzoj beveva dove bevevano gli elefanti, masticava corteccia di china contro la malaria, navigava su fiumi dall'acqua più verde delle foreste che attraversavano, si faceva la barba col coltello nella sua tenda tra i leoni. Era un eroe impulsivo e leale. Era insomma l'incarnazione di quei personaggi speciali nei quali Salgari e i suoi lettori amavano proiettarsi e immedesimarsi. Era Sandokan e Yanez, era l'avventura, era tutto ciò che lui e i suoi lettori non erano ma avrebbero voluto essere.
Il 13 aprile 1911, alle 10,30 del mattino, Franzoj si puntò contemporaneamente due pistole alle tempie e fece fuoco. Dodici giorni dopo, poco lontano, Emilio Salgari si tolse la vita come un samurai.
Sulla tomba di Franzoj si legge: «Con le sue azioni e i suoi scritti onorò l’Italia ben meritando l’incondizionato elogio di Giosuè Carducci».

Leggi l'approfondimento su Augusto Franzoj

Gli amanti diabolici
La storia degli amanti diabolici di Torino comincia quasi un anno e mezzo dopo il fatto quando, il 25 ottobre 1973, grazie alle confidenze di uno sbandato, i carabinieri scoprono, sepolto in collina, il cadavere di un uomo ormai saponificato. Si tratta di Fuvio Magliacani rappresentante di commercio, marito da tre anni di una biondina provocante e un po’ irrequieta, Franca Ballerini, madre di una bambina, misteriosamente sparito nella notte del 20 luglio 1972.
A farlo ritrovare è stato il fratello di Paolo Pan, ex ladruncolo e ora trafficante di auto rubate nonchè amante della Ballerini. Al processo cominciato nel marzo 1977 i due amanti cominciano ad accusarsi reciprocamente. Nella storia si sono poi infilati altri due personaggi: uno è il fratello di Paolo, Tarcisio, colui che ha fatto trovare il corpo che ritratta tutte le accuse, fingendosi pazzo. L’altro è Germano la Chioma accusato di complicità nel delitto del cugino, Giovanni La Chioma, un altro trafficante di auto rubate, ammazzato anvhe lui - secondo le accuse di Tarcisio - da Paolo Pan.
Il 2 maggio 1977 arriva per entrambi la condanna all’egastolo, 28 anni a Tarcisio Pan, assolto La Chioma.
Il 3 dicembre 1978 il processo d’Appello ribalta la sentenza precedente: ergastolo per Pan, assolta la Ballerini così come gli altri due imputati. La corte, che ignorerà nuove prove emerse nel corso del processo, crede alla versione della donna. Cassata anche questa sentenza dalla Cassazione, l’assassinio di Fulvio Magliacani, così come il delitto La Chioma, tornano nuovamente in Appello da cui arriva la definitiva conferma: ergastolo per lui, assoluzione per lei. Paolo Pan fu graziato nel 1995, dopo 22 anni di carcere. Divenne scenografo a Cinecittà per poi venir arrestato a Lima per traffico di cocaina, insieme a Luciano De Rossi scappato in Sudamerica per sfuggire alla ‘ndrangheta a cui doveva del denaro.

image-1image-1Cabiria nel Cubo
Dove attualmente c’è il palazzo della Comunicazione, il Cubo, l’edificio di via Luisa del Carretto 58 che ospita la sede dell’agenzia pubblicitaria Armando Testa, la più importante d'Italia, nel 1913 c’erano gli studi dell’Itala Film dove, tra gli altri, si girò Cabiria, il film firmato (ma non scritto) da Gabriele D’Annunzio per un compenso di 80.000 lire (€ 270.000).

Vedi monografia dedicata al Cinema a Torino

Un borgo cinematografico
Oltre allo stabilimento dell'Itala Film, in Borgo Po avevano sede: la Savoia Film (v. Asti angolo v. Cardinal Maurizio), la Eula Film (v. Moncalvo 7), la Navone Film (prima in via Romani 17, poi in v. Bricca, quindi in v. Luisa del Carretto), la Fabbrica Italiana Pellicole - FIP (v. Superga 10) e l'Ardita Film (v. Asti 6)

image-1Superga: voto o scelta
Molti sostengono che l’edificazione della Basilica fu un voto fatto da Vittorio Amedeo II, durante l’assedio del 1706, quando in un sopralluogo condotto con il principe Eugenio, sulla sommità del colle da cui si dominava tutta la zona di guerra, fece la promessa in caso di vittoria finale sui francesi.
Studi più recenti e una lettera di padre Sebastiano Valfrè al duca sembrano confermare che si trattò di una scelta non di un voto. In ogni caso la prima pietra venne posta nel 1717. Costò due milioni e duecentomila lire dell’epoca.
Nel 1799 i giacobini volevano raderla al suolo o, almeno, eliminare le salme dei Savoia, ma il governatore francese Grouchy lo impedì.
Il 4 maggio 1949 l’aereo in arrivo da Lisbona, che trasportava la squadra del Grande Torino, si schiantò contro la parte posteriore dell’edificio. Nell’incidente morirono i giocatori e i tecnici della squadra, i giornalisti al seguito e i membri dell’equipaggio.

L’asse della vita
Con la costruzione della Basilica, Filippo Juvarra (1678 – 1736) completò l’asse Rivoli, piazza Castello, Superga, metafora territoriale delle tre tappe della vita: nascita, comando, riposo eterno.

Il colle abbassato di 40 metri
La sommità del colle non consentiva di realizzare il grandioso progetto dello Juvarra, fu così deciso di abbassare e spianare la vetta di 40 metri. Nel maggio del 1716 iniziarono i lavori di demolizione della vecchia chiesa e l’abbassamento che fu ultimato in un anno. La grande quantità di materiale veniva depositata ai piedi della salita che porta al colle, per cui la località venne chiamata «Sassi» nome con cui ancor oggi è conosciuta.

Visita virtuale di Superga

Vedi il Tour Virtuale dell complesso di Superga: 11 panoramiche a 360° interattive - interconnesse e 55 foto dei particolari, con relative spiegazioni, della Basilica, della Cappella del Voto, del Chiostro, della Sala dei Papi, delle Tombe Reali, dell'esterno, del panorama che si gode dalla Cupola e della lapide del Grande Torino.

Entra nel Tour Virtuale del complesso di Superga

 

Santa Maria di Superga
Sul colle di Superga esiste una seconda chiesa, in origine più antica della Basilica, dedicata a Santa Maria di Superga. Anticamente era il luogo di culto per tutte le frazioni della collina.
Costruita nel 1439, si trova al limite orientale del piazzale della Basilica, inglobata nelle pertinenze della ex casa parrocchiale.
Riedificata negli anni Venti dell'Ottocento è stata gestita dai Servi di Maria fino al 2008, oggi è sussidiaria della Parrocchia della Madonna del Rosario. L'interno a pianta quadrata a navata unica con soffitto a cassettoni comprende diversi ambienti tra cui la cappella del Rosario.

Vedi alcune immagini della Borgata Sassi

Borgata Rosa
Agli inizi dell'Ottocento, sul lato destro di Corso Casale, la famiglia Rosa aveva impiantato una fornace per la fabbricazione dei mattoni, dal quale si presume che derivi il nome dato alla borgata. Viene, infatti, citato in zona un gruppo di case denominato Tetti Rosa.
Borgata Rosa è nota per il Parco del Meisino situato sul suo territorio su un'area di 450.000 m².

La valle donata
Milone Dondazio, detto “Patono” nel 1104 donò, col fratello Ruggero, dei beni alla chiesa di S.Agnese. Dal suo soprannome originò la denominazione di val Pattonera, nel territorio di Cavoretto.

Villa Genero
Il parco di 39 mila metri quadrati, sito in Strada Santa Margherita 77, è nato dall'accorpamento di due "vigne": vigna Baldissero, dal 1888 della moglie di Felice Genero, e vigna Colla, acquistata dalla famiglia nel 1858. Nel 1933 venne convertito in parco pubblico.

La zecca clandestina
Giuseppina Gola Genero donò al Municipio la sua proprietà che incorporava la villa dei Birago detta "il Baldissero" e la villa confinante detta "il Colla”, il complesso che oggi conosciamo come villa Genero.
Il marito, Felice Genero (1819-1896) banchiere e Deputato al Parlamento, aveva assunto come cameriere un certo Bernocco, già accusato ma prosciolto, per furto, amico di Luigi Roccetti, detenuto per falso monetario. Dato che i Genero si trovavano spesso a Firenze, diventata Capitale d'Italia, il Bernocco con il Roccetti avevano allestito nella villa una zecca clandestina.
La polizia li scoprì trovandoli in possesso delle chiavi delle casseforti in cui Felice Genero teneva carte e documenti. I due coinvolsero Genero accusandolo di complicità. Prima di poter dimostrare la sua innocenza Genero dovette passare due anni in carcere che lo minarono nel fisico e nella mente.

Ginnasio Genero
Nell’anno 1898 il complesso fu eretto ad ente Morale, con il nome Ginnasio Genero, e nell’edificio civile dell’ex Vigna Colla venne allestita una scuola materna riservata agli scolari con problemi di salute, utilizzando a cure speciali e particolari metodi di insegnamento (tuttora in funzione).

Fotografie: Villa Genero

Lo storico
Lo storico e giornalista Luigi Firpo (1915-1989) professore di Storia delle dottrine politiche all’Università, abitava corso Moncalieri 69. Fu membro del Consiglio di amministrazione della RAI, deputato del Partito Repubblicano Italiano e presidente della Federazione Italiana Bridge.

Ponte Isabella
Il ponte Isabella venne edificato tra il 1876 e il 1880 su disegni dell’ingegnere Ernesto Ghiotti. È costituito da cinque campate, con una lunghezza di 160 metri e una larghezza di 12 metri. E' intitolato a Isabella, principessa di Baviera (1863-1924), che sposò Tommaso Alberto Vittorio di Savoia-Genova nel 1883.

 

Vedi le immagini del ponte Isabella nel corso degli anni

 

image-1Villa Sambuy
Già Engelfred, in Corso Moncalieri,167 angolo strada dal Ponte Isabella a S. Vito (la strada dei morti). Nella Carta topografica della Caccia [1762] l'edificio è indicato come «Villa Boglione». Era già esistente nel 1712, anno in cui il marchese Pietro Eugenio d'Angennes vende la vigna all'orefice Battista Lojia. Il Grossi la ricorda appunto come «Il Loja villa, e vigna [...] evvi un palazzo moderno edificato circa nel 1780». La mappa napoleonica indica un edificio complesso, a blocco aggregato lineamente con una manica rustica disposta perpendicolarmente, e tale assetto pare conservarli all'epoca del rilevamento Rabbini (1866). L'assetto attuale, documentato sul rilevamento 1940 presenta una sostanziale riplasmazione tra Otto e Novecento.


image-1La strada dei morti
Ufficialmente si chiama "Strada dal Ponte Isabella a San Vito": è la nona a sinistra del corso Moncalieri dal ponte Umberto I al ponte Isabella. La ragione di questo nomignolo si spiega col fatto che per tutto il Seicento l’unico edificio di culto della zona era la chiesa di San Vito dove i residenti della zona si recavano per le funzioni religiose e per le sepolture. Quindi i cortei funebri transitavano obbligatoriamente da questa strada.
La zona è molto antica. Gli scavi della Soprintendenza Archeologica hanno portato alla luce i resti di una capanna celto-ligure e ritrovato armi e strumenti di ferro negli immediati dintorni della chiesa di San Vito. Nei pressi erano stati rinvenuti pure i frammenti di due lapidi romane, oltre a numerose monete risalenti all’epoca di Massenzio.
In pratica ben prima della fondazione della chiesa, risalente al IX o al X secolo, è pressochè certa l’esistenza di un agglomerato urbano con tanto di sentiero o di mulattiera (la strada comunale dal ponte Isabella a San Vito, appunto) che scendeva direttamente verso il fiume.

image-1San Vito
Chiesa costruita in stile romanico, probabilmente nel corso dell’undicesimo secolo, e ricostruita all’inizio del Seicento, è dedicata ai santi Vito, Modesto e Crescenzia, martiri cristiani del quarto secolo. Tracce della sua antica architettura sono visibili nel campanile, incorporato nell’edificio secentesco.
La chiesa custodisce le reliquie di San Valentino anche se non si sa di quale Valentino si tratti. Infatti negli «Acta Sanctorum» i santi di nome Valentino sono ben diciotto.
Certo è che il culto di un non San Valentino era, un tempo, particolarmente vivo nella zona collinare torinese, come attestano alcuni documenti del diciottesimo secolo. La tradizione vuole che un certo Giovanni Agostino De Bernardi, ricco banchiere, parrocchiano di San Vito, abbia acquistato a Roma le reliquie di San Valentino, rinvenute nel cimitero di Sant’Agata.
Trasportate a Torino nella casa collinare dei De Bernardi, le reliquie sarebbero state successivamente deposte in una semplice cappella che sorgeva nei pressi del Po. Scampate in modo piuttosto avventuroso a un’inondazione del fiume, i fedeli le avrebbero trasferite in un’altra cappella – che esisteva dalle parti dell’attuale parco del Valentino – per traslarle infine nella chiesa parrocchiale di San Vito.

image-1Ospedale San Vito
E' ubicato in strada Comunale San Vito Revigliasco 34.

 

 

 



L'uomo più ricercato di Francia
Il 2 gennaio 1955, il professor Eugenio Le Roux viene ricove­rato nella c1inica "Villa dei Colli" (Strada Volante (ex Strada Viassa e Strada della Creusa) 132) non lontano da San Vito, dove muore 3 giorni dopo. Non vi e un pubblico funerale, anzi "il professore" e sepolto, con molta discrezione, ed alla presenza di poche persone tra cui la moglie Helene, in un semplice loculo, nella sezione 23 del campo 5 del cimitero monumentale. II motivo di tanta riservatezza e dovuta al fatto che in realtà il "professor Eugenio Le Roux", altri non era che uno degli uomini più ricercati di Francia, uno dei più influenti ministri del govemo "collaborazionista" francese di Vichy, Marcel Deat, che aveva adottato il cognome della madre, Le Roux. Marcel Deat, che viveva a Torino da otto anni, era riuscito a trovare ri­fugio in Italia grazie ad una serie di contatti, ad una complessa rete di protezione ed a opportune omissioni da parte dell'autorita costituita. Amava Torino ed in modo particolare la sua collina; per i sentieri solitari saliva per ore ed ore, solo, a leggere e meditare. Nessuno avrebbe imrnaginato che quell'uomo dall'apparenza pacifica, era stato il ministro del lavoro e della solidarieta nazionale del govemo Petain, che durante la guerra aveva organizzato migliaia di giovani volontari per combattere nella legione antibolscevica, molti dei quali saranno gli ultimi difensori di Berlino nel 1945. 

Strada del Salino
E’ la prima strada a sinistra di corso Moncalieri, oltre il ponte Isabellla.
L'intitolazione esatta di questa via è "Strada vicinale o consortile alla Villa Salino" e dai documenti comunali risulta, come motivazione, che essa "prende il nome della Villa che fu dei Conti Salino".
Il nome ricorda la saliera, che, fin dal Medioevo, è stata considerata un arredo importante della tavola apparecchiata; essa si presenta nella storia del costume, dell'antiquariato e dell'arte (si pensi a quella di Benvenuto Cellini per Francesco I) con le forme più varie e con i materiali più diversi, dal legno all'oro. Lo Stemma dei Salino è infatti così descritto "D'azzurro, alla banda di rosso, orlata d'oro, accompagnata da due saliere d'argento, all'aquila coronata, di nero". La famiglia è originaria del biellese e, fin dal secolo XII sono ricordati alcuni suoi componenti per lo più dediti al notariato, all'avvocatura ed all'insegnamento delle leggi presso l'Università di Torino.
 
San Valentino

Il toponimo Valentino è presente nelle fonti documentarie torinesi fin dal tredicesimo secolo. Alcuni studiosi dell’Ottocento «accennano ad una cappella dedicata a San Valentino, martire cristiano del 268; ma non escludono che già al tempo dei romani la località si chiamasse Valentinum, denominazione riscontrata in documenti che risalgono al 1275 e nel testamento del vescovo Amedeo di Romagnano (1505)». In particolare, nel diciannovesimo secolo, Luigi Cibrario puntualizzava: «Sulle rive del Po eravi qualche casa che aveva preso probabilmente fin dai tempi romani il nome di “Valentino”; seppure non derivava quel nome da una cappella dedicata a San Valentino».
Altri storici si rifanno alla gentildonna chierese Valentina Balbiano, moglie di Renato Birago, che nel sedicesimo secolo possedeva una villa dove poi i Savoia fecero edificare l’attuale castello del Valentino, opera degli architetti Carlo e Amedeo di Castellamonte.
 Nella chiesa di San Vito, le reliquie di San Valentino furono solennemente trasferite nel 1769. La traslazione fu autorizzata dall’arcivescovo di Torino, Francesco Luserna Rorengo, su precisa richiesta del parroco Giuseppe Antonio Maffei, con un decreto emesso l’11 settembre di quell’anno. Si conosce anche un documento dello stesso arcivescovo col quale si autorizza il culto del santo nella chiesa parrocchiale di San Vito (11 ottobre 1769). Il momento della traslazione delle reliquie è raffigurato in un’incisione del tempo, custodita presso la Biblioteca Reale di Torino. Vi si scorge una processione che dall’attuale corso Moncalieri sale lungo la cosiddetta strada dei morti, la via percorsa dai cortei funebri che raggiungevano il cimitero di San Vito, oggi non più esistente.

image-1La villa degli amanti
Vigna di Madama Reale, in strada comunale San Vito Revigliasco,65), ora meglio conosciuta come villa Abegg.
Originariamente era un modesto villino del conte Ludovico Thesauro. Nel 1622 venne acquistata dalla Madama Reale Cristina, moglie di Vittorio Amedeo I che fra il 1648 ed il 1653 fece erigere su suo progetto un palazzo costituito da un corpo centrale e due ali laterali, con uno splendido parco con giardino. Alla progettazione della decorazione aveva collaborato anche il favorito di Cristina, conte Filippo San Martino di Agliè. Cristina lo elesse a sua dimora dal 1653 fino alla sua morte, avvenuta dieci anni dopo.
La villa divenne residenza delle amanti del figlio, Carlo Emanuele II di Savoia, la marchesa di Cavour Maria Giovanna di Trecesson e Gabriella di Mesmes de Marolles, contessa delle Lanze.
Morto Carlo Emanuele, la sua vedova la seconda Madama reale Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours, madre di Vittorio Amedeo II (futuro re di Sicilia e poi re di Sardegna, oltre che duca di Savoia), nel 1679 la vendette all'Ospedale di Carità, dal quale fu riacquistata solo cinque anni dopo dal figlio Vittorio Amedeo.
image-1Vi s'installò la "Contessa di Verrua" (Jeanne Baptiste d'Albert de Luynes), amante di Vittorio Amedeo, cui aveva dato già due figli illegittimi, che vi rimase fino al 1703, quando venne occupata da un grosso contingente militare.
Palazzo di rappresentanza fino verso il 1707, venne acquistata nuovamente dall'Ospedale di Carità che nel 1724 la vendette ad un certo Buscaglione, segretario della ex amante di Carlo Emanuele II, Gabriella di Mesmes de Marolles, che la rivendette presto ai Missionari della Congregazione di San Vincenzo de' Paoli.
Nel 1797 la villa venne riacquistata da Carlo Emanuele IV ma poco dopo, con l'occupazione francese, la villa venne confiscata e abitata per un paio di anni da Paolina Borghese, sorella di Napoleone Bonaparte e moglie del principe Camillo Borghese, Governatore del Piemonte.
Lasciata da Paolina, la villa si vide amputare le due ali.
Utilizzata come ricovero per feriti delle campagne di Napoleone, con la restaurazione del 1814 la villa tornò di proprietà dei Savoia e Vittorio Emanuele I la vendette alla signora Morelli in Rosso; passò quindi alla famiglia Prever, che la tenne a lungo per poi rivenderla ad altri privati finché, nel 1932, fu acquistata da Werner Abegg, dirigente d'azienda e mecenate di origine svizzera.
Oggi la villa è proprietà del Comune di Torino e vi ha sede l'Archivio storico della Compagnia di San Paolo.


Fotografie: Brume in Borgo Po