Atlante di Torino



 

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La scuola di Cuore
In via della Cittadella, dove c’è il ginnasio Cesare Balbo, sorgeva la scuola elementare Moncenisio, sezione Baretti, che fece da scenario al libro Cuore di Edmondo De Amicis, il più venduto del suo tempo.
La scuola era frequentata dai due figli dell’autore, Furio e Ugo: “Un giorno, nel gennaio del 1886, stavo aspettando il mio bambino che vidi uscire con un compagno poveramente vestito, figlio di un fabbro - racconta De Amicis - Il mio piccolo Ugo fece una carezza al suo compagno, che era più giovane di lui; dolcemente gli posò la mano sotto il mento, e l’altro sorrise. Per me fu come se una folgore avesse brillato, abbacinandomi gli occhi. L’idea del libro divenne immediatamente una volontà precisa del mio spirito, un bisogno tenace di tutto il mio essere”. Vi studiò anche Piero Gobetti

926 - Buon Pastore
In corso Principe Eugenio 12 e 14 sorse il primo istituto del Buon Pastore. La sua fondazione fu concertata nel 1843 fra Rosa Virginia Pelletier (Santa Maria di S. Eufrasia 1796 - 1868) e re Carlo Alberto.
Nel primo anno vi erano già presenti oltre 300 ragazze. Questo Istituto, per giovani, ha continuato la sua attività fino agli anni ‘50 del secolo successivo.

 

 



929 - La bela Rosin
Una delle sue ultime residenze in città fu l’isolato d’angolo tra corso Valdocco e corso Principe Eugenio, vicino al Rondò della Forca, dove oggi c’è una concessionaria d’auto.

Rosa Vercellana nacque a Nizza Marittima il 3 giugno 1833. Il padre Giovanni Battista era porta aquila della Guardia Imperiale napoleonica. Rientrato nell’esercito sabaudo nel 1814 divenne ufficiale nelle guardie di Carlo Alberto dopo aver denunciato degli emissari francesi che sobillavano i soldati piemontesi alla diserzione.

Nel 1847 la Rosin viveva a Racconigi dove il padre comandava il presidio della tenuta di caccia. Qui incontrò per la prima volta Vittorio Emanuele, ancora principe, ma già sposato con Maria Adelaide d’Asburgo Lorena; lui aveva 27 anni, lei 14. Era una bella ragazza, formosa, molto sviluppata per la sua età, con capelli scuri e sguardo intenso.
Il futuro re d’Italia, con l’aiuto del Morozzo, aiutante di campo e suo intimo amico, organizza i primi incontri segreti così tra i due nacque una relazione che durò per tutta la vita nonostante gli innumerevoli tradimenti di Vittorio.


image-1image-1Il re non trascurò i doveri coniugali né le molte amanti da cui ebbe parecchi figli, molti dei quali riconosciuti. Ma mentre le altre relazioni si conclusero quasi tutte in poco tempo, spesso con neonati dal cognome Guerriero o Guerrieri e una sostanziosa pensione, quella con Rosa continuò per tutta la vita.
Da lei Vittorio Emanuele ebbe due figli: Vittoria, nata il 2 dicembre 1848, ed Emanuele, il 16 marzo 1851. Vittoria riuscì a cavarsela abbastanza bene, Emanuele fu molto più fragile ed incostante, dilapidando un immenso patrimonio.

Quando Vittorio Emanuele risiedeva nel castello di Moncalieri aveva uno strano modo di recitare le preghiere serali: si faceva rinchiudere nel suo “pregadio” (uno sgabuzzino, debitamente imbottito e dotato di crocifisso e inginocchiatoio) con l’ordine di non aprire qualunque cosa succedesse, poi cominciava a strepitare, urlare, chiedere per carità che qualcuno aprisse ma i camerieri, se volevano conservare il posto di lavoro, dovevano guardarsi dal farlo.

Vittorio ne approfittava per imboccare un tunnel segreto e andare da lei che abitava poco distante, e trascorrere lì buona parte della notte.
La relazione con colei che tutti chiamano la “Bela Rosin” fece scandalo e fu avversata sia dai nobili che dai politici, soprattuttio da Cavour, specialmente dopo la morte della regina, avvenuta nel 1855.
La corte e il governo fecero di tutto per ostacolare l’amore di Vittorio e Rosina e per convincere il re a sposare una principessa, magari la vedova del suo stesso fratello, che lo invitò perfino nel proprio letto. Ma Vittorio Emanuele non voleva saperne: fuggì dal letto della cognata dicendo di aver visto il ritratto del fratello assumere una espressione minacciosa e rifiutò in vari modi tutte le altre pretendenti.
L’11 aprile 1858 il sovrano, nominò Rosina contessa di Mirafiori e Fontanafredda, con il motto “Dio. Patria. Famiglia.” Con lo stesso decreto assegnò il cognome Guerrieri ai figli.

image-1Nel 1869, a San Rossore, il re si ammalò. Ormai certo di morire decise di sposare Rosa. Nessuno osò opporsi e il 18 ottobre i due finalmente celebrarono solo il rito religioso (cosa che non avrebbe conferito a Rosa nessuno dei diritti e poteri di regina). Dopo il matrimonio il re guarì e per qualche anno i due formarono una coppia regolarmente sposata. Il rito civile ebbe luogo il 7 ottobre 1877, a Roma. Rosina diventa sposa morganatica del re, moglie ma non regina. Due mesi dopo, il 9 gennaio 1878, Vittorio muore. Lei gli sopravvive fino al 26 dicembre 1885.
Rosina morì a Pisa e le venne negato il diritto di riposare col marito al Pantheon; i figli decisero di innalzarne per lei una copia, in un parco di circa 30.000 mq circondato da un muro a Mirafiori; la costruzione durò tre anni; il monumento fu battezzato dai torinesi il “Mausoleo della Bela Rosin”. Il 4 Aprile 1943 il sepolcro fu profanato da ignoti in cerca di gioielli sui corpi nelle bare. La contessa fu quindi tumulata nel cimitero generale.

image-1931 - Il portafoglio piovuto dal cielo
Il 15 maggio 1877, sul corso San Massimo p(attuale Regina Margherita) presso il Manicomio due giovani, Enrico Bellingeri, di 19 anni, e Giovanni Barberis, di 13, si vedono piovere addosso un portafoglio caduto dal balcone del secondo piano dove un domestico sta riassestando i vestiti del padrone, il generale Carlo Burnod. Ci sono un bel po' di quattrini (880 lire) e i due si spartiscono il bottino, ma un muratore li vede e la polizia li può arrestare a casa loro, dove avevano condiviso i denari con le rispettive madri.
I due confessano ammettendo di avere visto da dove era caduto il portafoglio. Questo trasforma la vicenda da omessa consegna di oggetti trovati a furto qualificato, aggravato per il valorei.
Davanti al Tribunale Correzionale, nel novembre 1877, compaiono soltanto Enrico Bellingeri e sua madre.
Bellingeri è condannato a tre anni di carcere; Barberis ad un anno di custodia; le due madri a tre mesi di carcere.




Valdocco
In questa zona, nel 286 furono giustiziati 3 legionari romani: Solutore, Avventore e Ottavio che non avevano voluto abiurare la loro fede cristiana. Nel 1584 le loro spoglie furono trasferite nella chiesa dei SS.Martiri in via Garibaldi.
La località, che comprende la zona di via Cibrario, corso principe Eugenio, corso Francia e piazza Statuto, anticamente si chiamava Vallis Occisorum, da cui Val Oc e Valdocco. Nel sottosuolo custodisce ancora l’antica necropoli romana.
Qui si combattè a lungo durante l’assedio del 1706 e il canonico Sebastiano Valfré si adoperò molto per soccorrere i feriti.
Sempre in questa zona sorgevano le fornaci per costruire mattoni.
Al rondò all’incrocio tra i corsi Regina Margherita e Principe Eugenio, detto appunto della Forca, fino al 1863, si eseguivano le condanne a morte. Nel 1858, ad esempio, fu impiccato Antonio Rebusio della banda Sassone.
Nel 1960 è stato inaugurato un monumento a San Giuseppe Cafasso, il “prete della forca”.

Corso Beccaria
Tra corso Principe Eugenio e Piazza Statuto.




 

948 - Caserma Ferdinando di Savoia
Costruita nella seconda metà dell'Ottocento in corso Valdocco 9 come sede del Reggimento di Artiglieria Pesante. Attualmente ospita la caserma della polizia Franco Balbis.

 


957 - Terribile vendetta
21 aprile 1875 – In via Doragrossa 46 (via Garibaldi) una cameriera, per il dolore di essere stata licenziata, uccide strangolandola una bimba dei padroni di sette anni e si uccide con un’altra di nove gettandosi dalla finestra.

image-1957 - Rebaudengo
In via Garibaldi 46 il negozio drogheria Rebaudengo. Chiuso nel 1940. Qui iniziò la grande industria di prodotti alimentari (budini, polveri per acqua da tavola, creme, succhi...)

 

 

 

 

 

 

 


image-1image-1La Biblioteca Civica
Nel 1929 la Biblioteca che aveva sede nel palazzo del Comune poté essere trasferita in una sede più spaziosa, nei locali un tempo occupati dagli Archivi di Guerra e Marina, in corso Palestro angolo via della Cittadella.
La notte tra il 7 e l’8 agosto 1943 l’edificio fu distrutto dalle bombe degli aerei anglo-americani; i libri superstiti – la maggior parte, in quanto il magazzino librario non fu colpito da spezzoni incendiari – vennero ricoverati in casse nelle cantine dell’edificio ormai divenuto inagibile.
Nel marzo 1948 essi furono nuovamente messi a disposizione del pubblico nel salone del Parlamento italiano, nell’ala ottocentesca di Palazzo Carignano. Questa sistemazione, del tutto inidonea, si protrasse fino al 3 novembre 1960, quando fu inaugurata, alla presenza del Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, la nuova sede della Biblioteca civica centrale. Sorto sulla stessa area del precedente, questo edificio fu il primo, in Italia, a essere progettato e realizzato appositamente per una biblioteca del tipo e delle dimensioni della Civica torinese. La facciata prospiciente via della Cittadella fu decorata con un’opera dello scultore Franco Garelli (1909-1973), raffigurante, nei bassorilievi, le lettere dell’alfabeto.

image-1Mercato coperto
Nell'isolato che ora ospita la Biblioteca Civica, in corso Palestro angolo via della Cittadella, dove c'erano gli Archivi di Guerra e Marina, quindi il Museo Merceologico venne ospitato anche un mercato coperto.
La biblioteca fu trasferita qui nel 1929 al posto degli archivi della guerra e si trovava al primo piano della struttura.

 

 

 

 

 

 


image-1970 - Il ladro suicida finisce al museo
Il 22 gennaio 1880 un certo Giuseppe Dalmazzo alloggia all’Albergo “Corona d’Italia”, in piazza San Martino (ora XVIII Dicembre), davanti alla stazione di Porta Susa. 
L’albergatore si accorge che Dalmazzo, mentre esce, tiene nascosta qualcosa sotto al mantello, così lo insegue gridando “Al ladro!”. 
Dalmazzo fugge mostrando una pistola, ma una guardia e un carabiniere lo inseguono fino al quarto piano di via Assarotti 6, dove vistosi perduto, il ladro si spara alla tempia.  
SI scopre che è lo stesso che alcuni giorni prima ha rubato all’Albergo Due Buoi Rossi, in via Bertola all’angolo con via Stampatori.
A seguito delle indagini, cui collabora la “Gazzetta Piemontese” si appura che il vero nome del morto è Giuseppe Dalmazzo di Venezia, un «individuo assai pregiudicato».   Al caso si interessa anche Cesare Lombroso che richiede il cranio del suicida per studiarlo. Ora è custodito al museo di Antropologia Criminale.

image-1972 - La donna della domenica
Lo scrittore e traduttore Carlo Fruttero (1926-2012) abitava in via Juvarra 29. Gran parte della sua produzione letteraria è legata al lungo sodalizio artistico e di amicizia con Franco Lucentini. Uno dei loro grandi successi fu “La donna della domenica” da cui si realizzò un film con Marcello Mastroianni.

 




973 - Fondazione Gobetti
Al n. 6 di via Fabro, dove ora ha sede la Fondazione a lui intitolata, visse Piero Gobetti dal matrimonio con Ada Prospero, nel 1923, fino all'esilio.

980 - Il suicidio del Presidente della Camera
18 dicembre, nella sua casa di via Cernaia 32, Giovanni Cassinis (1806-1866), uomo di legge, statista, ministro, Presidente della Camera dei Deputati, stretto collaboratore di Cavour, si uccise disperato per il trasferimento della capitale a Firenze.

980 - Muore il decano dei generali
Sempre al n. 32 di via Cernaia, il 7 giugno 1867, moriva il decano dei generali d'armata Ettore De Sonnaz.

 



I volti che decorano la facciata del palazzo di via Cernaia 32-36:

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980 - Artigianelli
Leonardo Murialdo (1828-1900) nacque in via Garibaldi da una famiglia agiata: il padre era agente di cambio.
Da ragazzo era chiamato “Nadino”. Resta presto orfano di padre (1833) e per questo è mandato nel 1836 in collegio a Savona dagli Scolopi. Dopo un periodo di sbandamento giovanile ritorna a Torino, finiti gli studi viene ordinato sacerdote nel 1851. Il suo campo di azione sono gli oratori, in collaborazione con Giovanni Bosco e le iniziative in favore della gioventù della periferia torinese, carcerati, giovani lavoratori, ragazzi di strada.
Lavora soprattutto in Vanchiglia e nel Moschino.
Nel 1866 diventa rettore del Collegio Artigianelli in corso Palestro 14, istituzione religiosa per l’assistenza di ragazzi poveri ed abbandonati. Nel 1873 fonda la Congregazione di San Giuseppe. Papa Paolo VI l’ha proclamato beato nel 1963 e santo nel 1970

 

image-1981 - Cucina dei poveri
Era in corso Palestro 11, l’edificio venne realizzato nel 1913. Fu bombardato nel 1943. Era destinato alla cucina e alla distribuzione di pasti per indigenti.

 

 



982 - Chiesa di Santa Barbara di Nicomedia
In via Ottavio Assarotti 14, costruita da Pietro Carrera nel 1869 al posto di quella omonima che si trovava all'interno della demolita Cittadella, conservò fino al 1971 nei suoi sotterranei le spoglie di Don Leonardo Murialdo, quanto le stesse furono trasferite in Borgo Vittoria, nel Santuario della Madonna della Salute.
Negli stessi sotterranei sono state composte le ceneri di molti dei militari piemontesi e alleati periti durante l'assedio del 1706. Altri resti, ma senza distinzione di nazionalità, si trovano in San Filippo e in altre chiese cittadine, e soprattutto in quella di Nostra Signora della Salute.

image-1983 - Una rissa finita male
Domenica 5 febbraio 1871 Lorenzo Steffanini sta ballando con la sua ragazza alla Cantina della Cittadella detta ‘d Paolin, in via Bertola, al n. 39, all’angolo con via Antonio Fabro. I due vengono molestati da quattro giovinastri Giacomo Nigra, Vincenzo Settimo, Angelo Ferrara ed Eugenio Galletti. Ne scaturisce in una rissa sedata da un robusto operaio che iniziò a picchiare indiscriminatamente tutti i ragazzi coinvolti. Steffanini uscì per tornare a casa, ma i quattro lo seguirono e, nelle vicinanze della chiesa di Santa Barbara lo raggiunsero, accoltellandolo più volte. Nel mentre suo fratello Siro lo cercava: provò a vedere se era in una casa di tolleranza in via Fabro e il caso volle che, invece, trovasse i quattro assassini che si vantavano del misfatto, ancora sporchi di sangue. Allora ricorrdò che un anno prima, c'era stata una lite tra suo fratello Lorenzo ed Eugenio Galletti, a causa di una donna.
Siro corse al Mauriziano, dove vide morire il fratello, poi denunciò subito i quattro ragazzi.
Questi furono arrestati e, il 31 maggio 1872, processati in Corte d’Assise. Ferrara, Galletti e Settimo vennero condannati a sei anni di relegazione, e Nigra a tre anni della stessa pena.

 

Bianca La Rossa
Bianca Guidetti Serra (1919 - 2014), partigiana, avvocato, consigliera comunale e deputata aveva lo studio in via San Dalmazzo 24.
Allieva del liceo classico D’azeglio, laureata in Giurisprudenza nel 1943 aprì uno studio da sola quando in città le donne avvocato erano quattro o cinque. Lei era l’unica penalista. Soprannominata «Bianca La rossa» è stata fra l’altro componente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla mafia e sulle altre associazioni criminali. Nel 1995, a Torino, fu capolista di Democrazia Proletaria per il Comune, occupandosi in particolare di carcere, alla ricerca di possibili forme alternative di pena.
Amica di Primo Levi, compagno di scuola dell’avvocato Alberto Salmoni che sposò nel 1945. «Decisive per orientare la mia vita - raccontò - furono le leggi razziali: mi hanno indignata, mi hanno scossa direi passionalmente, e questa è stata la ragione per cui mi sono schierata da una certa parte, il che ha saldato i rapporti con quel gruppo di amici ebrei che comprendeva mio marito e Primo Levi». Spirito ribelle, «sono sempre stata a favore dell’emancipazione femminile».


image-1image-1La stazione per Rivoli
L'esercizio tranviario a vapore sulla tratta per Rivoli iniziò il 23 gennaio 1882, ma la ferrovia Torino-Rivoli continuò come concessione separata, mentre la tranvia Torino-Tesoriera-Rivoli rimaneva come tranvia urbana prolungata, sui binari della ferrovia Torino-Rivoli.
Nel 1886 la proprietà passò dagli Eredi Colli alla Banca Tiberina, nel 1889 alla Società Anonima Finanziaria Industriale Torinese e infine al Consorzio per la Tramvia Elettrica Torino-Rivoli[, costituito nel 1909 dai comuni di Torino e Rivoli e dalla provincia di Torino.

image-1Sotto la gestione si procedette alla trasformazione della ferrovia e della tranvia a vapore in tranvia elettrica a 1200 V cc e scartamento ordinario tranviario (1445 mm), ottenendo solo allora una concessione specifica per una tranvia sullo stesso tracciato della preesistente ferrovia economica Torino-Rivoli.
Con l'attivazione della tranvia elettrica a scartamento ordinario i binari vennero posti al livello stradale anche nel tratto iniziale e furono colmate la galleria e la trincea all'inizio di corso Francia.
La linea ricostruita fu inaugurata il 31 ottobre 1914 e aperta al pubblico il successivo 19 novembre

 

image-1Il trenino senza barriere uccide il portiere del Torino
La necessità di ampliare corso Francia portò alla chiusura (il 12 novembre 1955) della linea per Rivoli, sostituita da una filovia. Il traffico intenso e il fatto che i binari non avevano nessuna barriera di protezione causò un gran numero di incidenti, tra cui quello in cui perse la vita il portiere del Torino Giuseppe Maina che il 19 settembre 1942, a 34 anni non ancora compiuti, venne investito da un locomotore della tramvia mentre, in bicicletta, tornava a casa in Borgo San Paolo (in sua memoria, nacque una squadra di calcio, il Pino Maina dalla caratteristica maglia grigia).
Della tranvia sono sopravvissuti allo smantellamento il deposito-officina di Regina Margherita con l'attiguo grande edificio al numero 146 di corso Francia a Collegno, un tempo dotato della pensilina per l'omonima stazione, e la "stazionetta" Leumann, riportata all'aspetto originale e inaugurata il 22 novembre 1998 con funzione di punto d'informazione di pubblica utilità.

image-1Gli inglesi costruiscono piazza Statuto
I lavori per la piazza iniziarono nel 1864 promossi dalla società inglese “City of Turin Improvement Company ltd.” che aveva progettato le residenze per i dipendenti dello stato. In autunno, però, la capitale viene spostata a Firenze e la società fallisce. Nel 1874 il Municipio rileva tutti i palazzi per 6.200.000 lire (Euro 19.596.958), quindi li vende ai privati con un’asta pubblica.
Qui si tenne, nel 1890, per la prima volta in Italia, una manifestazione di lavoratori per il 1° maggio.
Questa zona fu pesantemente bombardata il 20 novembre del 1942

 

La crisi del trasferimento della capitale
Con il trasferimento della capitale a Firenze, nel febbraio del 1865, la partenza della Corte, del Parlamento e del Governo ebbero una grave impatto sulla città. Con le più importanti istituzioni dello Stato, se ne andarono gli Uffici Pubblici, la Zecca e numerose Banche, come pure alcune delle principali Società d'Affari. Cessarono l'attività anche parte delle Officine statali di forniture militari e ferroviarie. Questo esodo ebbe conseguenze gravi in tutti gli strati sociali. Ben presto la città scese da 220.000 a 190.000 abitanti, un’emorragia che sarebbe continuata anche nel decennio successivo. Da Capitale del Regno al culmine del suo prestigio, la città era così sprofondata lungo la china di una decadenza che sembrava irreversibile.
Oltre un terzo della popolazione era composta da persone inattive; il 37% era composto da “rentiers”, i proprietari di case e i titolari di rendite a vario titolo, i pensionati e i minori. I professionisti, gli insegnanti, i funzionari e i militari rappresentavano, a loro volta il 15% dei residenti; un buon 5% era poi costituito da bottegai e addetti ai servizi. I domestici da soli erano 18.000, quasi uno ogni dieci abitanti. Il resto, circa il 42%, risultava occupato in attività industriali. Ma non più di un quarto dei 52.000 addetti all'industria, censiti come operai lo era realmente, nel senso che prestava la sua opera nell'ambito di una fabbrica o di un'organizzazione industriale. Per il resto si trattava di garzoni di piccole botteghe artigiane e di lavoratori a domicilio.

De Amicis sul tram
In piazza Statuto 18, nel 1896, abitò Edmondo De Amicis. qui scrisse "La carrozza di tutti" un racconto della città vista viaggiando sui tram a cavallo.

image-1Piazza Statuto
La leggenda metropolitana la definisce cuore nero della città specificatamente dove sorge la “Guglia Beccaria” (ricostruita nel 1861) in ricordo di Gian Battista Beccaria che nel 1781 misurò il 43° Parallelo che passa per Torino.
Dall’aiuola centrale della piazza si accede alla sala comando della fogna nera della città. La favola satanistica dice che, proprio lì, si trovi la porta dell’inferno.

 

image-1Obelisco
Tra le varie leggende, spesso diffuse ad arte o per scherzo, c'è quella che vuole Torino città magica e satanica anche perchè si troverebbe ad uno dei vertici di un fantomatico triangolo della magia nera.
Si dice che il vertice di tale triangolo cada nel punto dove sorge un piccolo obelisco con un astrolabio sulla sommità, situato nell'aiuola del piccolo giardinetto di fronte al monumento del Traforo ferroviario del Frejus. In realtà questo obelisco fu eretto nel 1808 su un punto geodetico, in ricordo di un vecchio calcolo trigonometrico del 1760 sulla lunghezza di una porzione di meridiano terrestre (il Gradus Taurinensis), eseguito insieme ad altri punti geografici nei comuni piemontesi di Rivoli (nel quale c'è un obelisco gemello), di Andrate e di Mondovì, ad opera del celebre geofisico matematico piemontese Giovanni Battista Beccaria (L'obelisco infatti è anche chiamato: "guglia Beccaria")

 

 

 



image-1La Fontana del Diavolo
La Fontana del Frejus disegnata dal conte Marcello Panissera, presidente dell’Accademia Albertina, per ricordare l’inaugurazione dell’omonimo traforo (1871), è indicata dagli amanti dell’esoterismo come uno dei monumenti più inquietanti della Torino magica. Oltre a celare la porta dell’inferno, infatti, presenta un personaggio dalla dubbia identità. Si tratta dell’angelo che sovrasta il monumento, tanto affascinante da suggerire una natura maligna. In alcuni testi si legge che l’essere alato sarebbe la rappresentazione di Lucifero, in effetti l’angelo più bello.

Si è anche arrivati a srivere che a fianco della fontana vi sia un accesso diretto all'inferno.

 

 



image-1image-1Satanismo: una beffa
Il mito della Torino satanica ha le sue origini nell’Ottocento per ragioni politiche collegate sia all’accoglienza da parte di governi anticlericali di forme religiose alternative e anticattoliche di ogni tipo, sia a una reazione cattolica che etichettava come satanica ogni forma di occultismo e di magismo.

Non vi sono né vi sono mai stati “Papi di Satana” a Torino, anche se un defunto pittore, Lorenzo Alessandri (1927-2000 - nella foto a sinistra) lasciò correre qualche voce di questo genere sul proprio conto, un po’ per burla, un po’ allo scopo di promuovere i suoi quadri.


La cifra di quarantamila satanisti attivi a Torino deriva da un vecchio e ben riuscito scherzo, ormai rivelato come tale, giocato agli inizi degli anni settanta, dalla sempre attiva goliardia torinese (di cui l’Alessandri fu Pontifex Maximus) che riuscì ad accreditare la cifra e una serie di altre invenzioni concernenti satanismo, magia, misteri e simbologie occulte, con alcuni articoli su Stampa Sera del lunedì, con la complicità del redattore Vittorio Messori (nella foto a fianco) che in proposito recentemente ha scritto: “....in combutta con qualche collega o qualche conoscitore o adepto del giro mi divertivo a lanciare presunte notizie o sparare cifre che nessuno era in grado né di smentire né di confermare”, che del resto “venivano incontro al bisogno così umano di stupirsi, di sognare, di fantasticare” e costituivano perfino “un antidoto all’ossessivo, luttuoso notiziario politico in quei tempi di terrorismo” .

Corrispondenti delle Agenzie riprendevano puntualmente questi articoli che essendo stati pubblicati sul secondo quotidiano italiano per importanza acquisivano immediatamente una patente di serietà e veridicità.
Così le stesse notizie comparivano il martedì su altri quotidiani nazionali e il mercoledì su quelli internazionali. Spesso a fine settimana arrivavano in città inviati speciali per approfondire l’argomento che assumeva, così, sempre più dimensione di realtà accertata, anche se un convegno scientifico sul Diavolo, organizzato proprio a Torino nel 1988, non riuscì a trovare tracce sulle origini della città diabolica che non fossero gli articoli di Stampa Sera dei primi anni settanta.

Torino diventa “Città magica” negli anni 70.
La gente, si sa, crede a quello in cui vuole credere e come spesso avviene, la leggenda divenne realtà, riportata e fortificata da molte pubblicazioni che rilanciarono il fenomeno, spiegandolo, analizzandolo, motivandolo e diffondendolo così ulteriormente.
Un’etichetta, quella di Torino Magica che certo ha contribuito a far parlare della città, a vendere molti libri e anche a organizzare pacchetti turistici per scoprirne i luoghi segreti.

La verità sul satanismo torinese
La pubblicazione sul quotidiano cittadino non solo sancì la veridicità del fatto ma suscitò la curiosità in una città tradizionalmente segnata da forme anticlericali (spesso, ancora, di carattere goliardico) e da alcuni esponenti di una massoneria interessata all’occultismo e alla magia sessuale.
In questi ambienti si cercarono contatti con la Chiesa di Satana californiana (che conserva nei suoi archivi traccia di questi contatti, fra il 1968 e il 1970) dando vita a una Chiesa di Satana di Torino, che non riunì mai più di un centinaio di persone.
Nacque poi un secondo gruppo che si ispirò ad un altro personaggio Claude Seignolle, romanziere francese, anche lui operante sempre sul confine tra serio e faceto, che aveva centrato la sua attività sul folklore demoniaco, lasciando circolare voci che lo qualificavano come detentore di segreti esoterici.
Avvicinato nel 1969 da torinesi che cercano un’iniziazione diversa da quella venduta per corrispondenza da Anton Szandor Lavey (1930-1997) fondatore della setta californiana, Seignolle li benedice e li incoraggia, convincendoli di avere ricevuto una iniziazione a un’antica tradizione trasmessa di padre in figlio. Nasce così una seconda “Chiesa di Satana”.
L’attività dei due gruppi fu sempre circoscritta e limitata, mai superiore alle decine di adepti. Attualmente la setta originariamente collegata alla California è in sonno dal 1997 (il che non esclude che i pochi membri superstiti si ritrovino occasionalmente per cerimonie e rituali) mentre quella più occultista e francese ridotta a poche unità, continua a celebrare un rito annuale estivo all’aperto in una zona a ovest di Torino.

image-1La fontana del Frejus
Al di là delle fascinose lusinghe esoteriche la fontana costruita in ricordo dei lavori e delle vittime del traforo del Frejus, venne progettata da Luigi Belli e inaugurata nel 1879. Le figure scolpite nel marmo rappresentano un gruppo di Titani, sovrastati dal Genio alato simbolo del potere intellettuale.