Atlante di Torino

Gas

 


 

image-1Dall'Olio al Gas, un passaggio controverso

Il passaggio tra l'illuminazione ad olio e quella a gas non fu né semplice né immediato. Mentre le botteghe e gli atrii già splende­vano sotto la luce dei becchi a gas, sulle strade le lanterne ad olio resistevano tenaci.

Le cronache del 1838 cosi descrivono il primo stabilimento per la produzione del gas: «Una torre rossastra, dalla cui cima suprema sgorgano a quando a quando vortici di negro fumo, sorge di mezzo alle masse di verdi alberi che ombreggiano il pubblico passeggio, breve tratto fuori Porta Nuova. Essa è il camino dello stabilimento del gaz illuminante ... ».

image-1Questo stabilimento venne eretto da una società anonima composta di lionesi e piemontesi ed era diretto dall'ingegnere J. Gautier. Dopo due anni di attività, quando già privati e commercianti si servivano del gas, nessun accordo era stato raggiunto tra il comune e la società; la vertenza durò ancora molti anni, malgrado i per­messi di impianto di tubazione, che comportarono intri­cate questioni di sottosuolo, venissero concessi dall'Ufficio del Vi­cariato. Il primo permesso, « per collocazione di tubo parziale per valersi del gaz ad illuminare la stamperia », venne concesso al tipografo Favale in data 16 settembre 1839.

Fin dal 1832, l'ingegner Gautier, venuto appositamente a Torino, aveva compiuto diversi esperimenti d'illuminazione a gas.
La prima dimostrazione ebbe luogo al caffè Biffi, in piazza Vittorio angolo via Bonafous, appunto nel 1832; ma la perplessità di fronte alla novità faceva trincerare tutti dietro una comprensibile dif­fidenza.

image-1Quando prese vita il nuovo stabilimento, la popolazione si divise in due correnti che Silvio Pellico chiamò « gasisti» ed « antiga­sisti »; gli uni esaltavano la bellezza e la vividità della luce che portava il gas, gli altri lamentavano i pericoli degli scoppi ed il costo del gas, che al confronto dell'olio era elevatissimo.

Intanto i fornitori di olio per lanterne miglioravano il prodotto illuminando la città come non era mai stato fatto prima.
Il 12 settembre 1837, Carlo Alberto pose la sua firma al brevetto d'approvazione per la « formazione della società per la illuminazione di Torino», ponendo altresì le basi per la costituzione del nuovo stabilimento e la concessione da parte del Consiglio Gene­rale del sottosuolo cittadino.

Lo stabilimento iniziò a funzionare nel 1838, ma gli innumerevoli problemi erano ancora lontani dall'essere risolti. I « gasisti » inneggiavano allo splendore dei caffè illuminati con il gas; gli «antigasisti» sottolineavano il cattivo odore che esalava dal fumo del gas.
Al caffè Dovis, di fronte a San Dalmazzo, per un guasto ad un lume posto sull'ingresso della bottega tutti i vetri an­darono in frantumi ed una gran fiamma invase la strada provo­cando il panico. Ma quelli della società si difesero adducendo «la gravissima negligenza d'un artigiano lattaio e l'impazienza della persona associata nel volere godere la luce ».

A Torino l'illuminazione costa meno

 

Una sera dell'estate 1839 una gran folla si recò sulla contrada Nuova - attuale via Roma - ed attese per oltre cinque ore che la luce del gas scaturisse dai tubi, ma l'attesa fu vana e di luce a gas si vide soltanto quella all'interno della confetteria di Giovanni Cinzano.

Era il secondo esperimento che falliva: così i fornitori del­l'olio per le lanterne aumentarono le provviste dalla Liguria.
Nel 1840, con lo scadere dell'appalto delle lanterne, la società del gas propose al comune d'incaricarsi dell'illuminazione pubblica die­tro pagamento di cinque centesimi orari per ciascuna fiamma, com­presa la manutenzione e l'impianto. Ma il contratto venne rinnovato per le lanterne ad olio, ancora per sei anni.

Al gasometro di Porta Nuova si dibattevano intanto con difficoltà d'ogni genere. La pioggia continua dell'autunno aveva fatto in­terrompere le comunicazioni tra Torino e Genova ed il carbon fossile non arrivava. Si dovette ricorrere ad un miscuglio di car­bone e torba che, oltre ad emanare cattivi odori, toglieva ogni vivi­dezza alla luce.

Inoltre il sistema di purifìcazione difettava, ma i tecnici assicuravano che « il gaz di Torino è da considerarsi quasi inodoro a fronte di quello di tante altre città ».
A difesa del gas, G. B. Baruffi, il 13 giugno 1840, scriveva: «I molti vantaggi reali che presenta questa nuova maniera d'illumi­nazione, sono quelli che l'hanno fatta adottare diggià in tante città dell'uno e dell'altro emisfero. E per parlare del solo nostro conti­nente, le città del Regno Unito della Gran Bretagna furono illumi­nate le prime, ed è veramente là dove il forestiero è abbagliato da quel gran lusso di luce, sicché la città di Londra talvolta è più bella di notte che di giorno ... »

Ancora il Baruffi in una lettera a stampa diretta all'intendente Ferrero, in data 12 febbraio 1841, dice: « ... E Torino in compenso godrebbe una doppia luce e, quel che importa anche moltissimo, di una luce diretta e non più riflessa dagli specchi ideati appunto per supplire alla debolezza della luce.

image-1Aggiungete che gli specchi ab­bagliano e non illuminano i cittadini, i quali, e per questo grave inconveniente e per la poca luce reale, possono venire impunemente assaliti nelle vie, senza toccare di altre disgrazie temute dai coc­chieri, che assisi sui loro sedili sono incomodati da una troppo viva luce riflessa negli occhi ... ».

All'officina del gas si distribuivano biglietti d'ingresso per visitare lo stabilimento, le visite di propaganda erano addirittura solleci­tate da tutti quelli che credevano, non a torto, ai vantaggi del gas; vantaggi che si estendevano anche alle industrie ed alle officine. Nel 1841 la società contava oltre quattrocento associati e somministrava il gas a 1600 fiamme.

image-1image-1Lentamente - si era già nel 1850 - tutte le difficoltà venivano appianate, le diffidenze vinte. Il gas aveva finalmente trionfato: se ne impossessarono le case, i negozi, le officine, le strade; la lette­ratura e gli innamorati. Il pioniere della luce all'aperto fu un venditore di castagne che pose un fanale a gas vicino al fornello delle caldarroste.

Ora tutti volevano la luce del gas. Ben presto lo stabilimento di Porta Nuova risultò insufficiente ed un altro grandioso gasometro venne costruito in Borgo Dora, tra il ponte Mosca ed il ponte delle Benne.

image-1Dalla cronaca del tempo questo stabilimento è così de­scritto: « .. per la sua posizione e distribuzione, per la costru­zione dei suoi grandi gazometri a telescopio, per i perfezionamenti delle macchine non che per i continui esperimenti delle chimiche combinazioni, non lascia dubitare che la bella città di Torino, la quale gareggia nel primato con altre capitali d'Italia, non sarà a nessuna seconda nel diffondere questa luce artificiale, tanto neces­saria a renderla ognor più splendida ed appariscente ».

 

Trentaquattro anni più tardi arrivò la luce elettrica, ma della luce a gas ci rimane pur sempre il ricordo che ci tramanda la lettera­tura romantica. Nel « Mondo Illustrato» del 7 agosto 1847, Luigi Cicconi così scriveva: « ... Oh, quelle selve che non videro mai le danze della bellezza, non udirono il sussurro delle voci umane, ed è oggi per dir così lo spirito di quelle selve che accresce l'incanto alle veglie, il fulgore alle gemme, le attrattive all'incarnato, lo sfoggio alle vesti, lo scintillamento alle fronti, il giubilo ai cuori. Oh, arcana origine! oh, bellezza! oh, potenza della luce del gasse! »

Tratto da "Lo specchio di Torino", di Dina Rebaudengo - Dellavalle Editore - Torino 1970.


Vedi anche gli articoli su:

L'Illuminazione in città

Approfondimento sulla storia dell'illuminazione delle strade cittadine