Atlante di Torino

 



Sepolcri
All’epoca romana fuori le mura le vie principali erano fiancheggiate da monumenti sepolcrali .
Il divieto di seppellire all’interno della città impedì l’uso dei sepolcri urbani almeno fino al III secolo e formò quindi una serie di necropoli fuori città.
La piú vasta e ricca fiancheggiava esternamente il lato settentrionale delle mura, nella zona fra la Consolata e Porta Palazzo. Per gli insediamenti esterni alla città i cimiteri si trovavano in zona Regio Parco, via Frejus, barriera di Nizza, borgo San Paolo, e anche lungo la via delle Gallie (corso Francia). Nella zona di Porta Susa, scoperto proprio mentre si gettavano le fondamenta della stazione (1854-1855), si trovava un sepolcreto.
Successivamente, fino al 1777, le sepolture avvenivano nelle chiese o nei giardini circostanti.


image-1image-1Da quel momento i luoghi adibiti furono:
San Pietro in Vincoli, nel borgo Dora, alle spalle dell’attuale Cottolengo
San Lazzaro o della Rocca nella via omonima.
Un piccolo cimitero dell’Ospedale della Carità nel borgo Po. Precedentemente l’area di Borgo Dora aveva ospitato il cimitero degli ebrei torinesi, che avevano seppellito i loro morti presso l’Arsenale Militare fino al 1706.
Il Cimitero Monumentale (aperto nel 1829)

Nel 1781 i più poveri venivano seppelliti al di là della Porta di Po sulla strada che conduceva alla Madonna del Pilone (l’attuale corso Casale).

 

 

 


image-1Il Cimitero degli impiccati
Il terreno su cui sorge il cimitero di San Pietro in Vincoli, il 2 novembre 1775 fu ceduto dai fratelli Ressio al Comune per 5.047 lire.
Questo cimitero venne costruito, insieme a quello di San Lazzaro, ambedue presso la Dora, nel 1777 su ordine di Vittorio Amedeo III, per seppellire l’enorme massa di vittime causate dalla peste e dalla tremenda calura del 1776.
Inizialmente denominato del SS. Crocifisso aveva uno spazio centrale adibito ad ossario, dei pozzi per i corpi senza bara, le cripte delle famiglie nobili e abbienti, disposte lungo i portici laterali. Nella zona a nord-ovest, di fronte alla cappella dei SS. Pietro e Gaudenzio, fu predisposta una zona per seppellire i giustiziati e i giustizieri (stranamente accumunati nell’eterno riposo) ed una per i suicidi e i non battezzati. Per questo venne denominato “camposanto degli impiccati”.
Una disposizione regia permise l’utilizzo dei cadaveri dei condannati per le lezioni di anatomia che si tenevano, a lume di candela, in uno stanzino dei sotterranei.
Il cimitero chiamato comunemente “San Pé dij Coi”, per la vicinanza di orti in cui si coltivavano “coj” (cavoli).
Dopo lo scoppio della vicina Polveriera (1852), il cimitero cadde in uno stato di grave abbandono.
Nel 1854 gli abitanti della zona ottennero lo spostamento al Camposanto Generale anche a causa dei riti satanici e dei saccheggi notturni alle tombe.

image-1San Lazzaro
Nella zona all’angolo tra corso Cairoli, via dei Mille e via Mazzini sorgeva una postazione fortificata, il Bastione della Rocca. Il terreno del forte venne poi utilizzato come cimitero con la chiesetta di S. Lazzaro.
Al posto del Camposanto poi sorse il Convento dei Padri Minori, soppresso nel 1866. Il terreno quindi passò all’Opera Pia Bogetto
Nel 1827 il sindaco, marchese Tancredi Falletti di Barolo, contribuendo con una donazione personale di 300.000 lire dell’epoca promosse la costruzione dell’attuale Cimitero Monumentale, nella zona detta delle “mezzelune”, dal nome del parco che vi sorgeva sino al 1706, quando fu distrutto dalle truppe francesi assedianti, che vi avevano posto il loro accampamento.
Le tariffe, nel 1840, erano di L. 10 (circa 40 Euro) per sepoltura semplice (comprensiva di visita del chirurgo della città preposto alla salute pubblica, feretro, scavo e sotterramento), L. 60 (240 Euro) per una privata, mentre una tomba di famigia (a 18 postii) costava L. 600 (2.400 Euro).

San Lazzaro fu aperto nel 1778 e da allora, per un cinquantennio, ospitò le salme di numerosi torinesi. Ebbe quindi più breve durata del gemello di Borgo Dora. Infatti nel 1829 vi cessarono del tutto le inumazioni e le spoglie dei defunti furono traslate distinguendone la loro appartenenza in nobile o plebea. Le prime, come le salme dei Rossi, dei Rignon, dei Bognier, dei Cusi, dei Locarnis, dei Fresia d'Oglianico trovarono ricovero in San Pietro in Vincoli; le seconde invece nel nuovo camposanto che si stava aprendo.

Nel territorio lasciato libero si edificò prima un convento francescano, più tardi la sede dell' Istituto d'Emigrazione Italiana ed infine nel 1886, l'edificio ivi sorto ,ritornato di proprietà municipale, fu destinato a sede provvisoria del sifilicomio maschile, e lo fu per ben 70 anni fino a quando venne abbattuto.

Dopo un mancato tentativo di bonifica nel 1936, l'11 marzo 1952 si procedeva al definitivo sgombero dei pozzi ossari del soppresso cimitero.
L'operazione è costata al Comune 1.105.080 lire, per un totale di 400 giornate lavorative e 37 pozzi vuotati pari a mq d'ossa 1.192"

image-1Il fantasma della principessa
In San Lazzaro venne sepolta la principessa russa Barbara Beloselski, moglie dell’ambasciatore dello zar, morta ventottenne a Torino il 25 marzo 1792.
Il marito fece disporre sulla sua tomba una statua dello scultore Spinazzi, denominata “Dama velata”.
Il monumento venne trasferito in S.Pietro in Vincoli nel 1862 quindi nel Museo d’Arte Moderna.
La principessa fu ribattezzata Varvara dagli spiritisti che raccontano delle sue passeggiate notturne per attirare i passanti, ignari di aver incontrato uno spettro, presso la sua tomba. Questi incontri notturni causarono anche l’innamoramento di un tenente d’artiglieria, Enrico Biandrà, che ogni tanto la vedeva comparire anche in casa sua.
Bruno Gambarotta, in Storie di Città, ha narrato una storia fantastica basata sulla vicenda della principessa.

 

 

 

 

 



Torna alla zona fuori le mura di Borgo Dora dove si trova San Pietro in Vincoli

 

Cimitero della Crocetta

Generale poi Monumentale
La costruzione del cimitero Generale, più tardi noto come Monumentale, fu deliberata nel 1827, in sostituzione del piccolo cimitero di San Pietro in Vincoli. Proposta e finanziamento avvennero su impulso del Marchese Carlo Tancredi Falletti di Barolo, che nel 1828, con la donazione di 300 mila lire, permise l'acquisto del terreno e l'edificazione del primo nucleo.
La prima pietra fu posata dal sindaco di Torino Luigi Francesetti di Mezzenile. Il problema più rilevante da affrontare furono le infiltrazioni d'acqua della vicina Dora Riparia, questione che fu risolta deviando il corso del fiume e rettificandone il tracciato meandriforme.

Il cimitero Monumentale e tra i primi in Italia per numero di defunti (oltre 400.000. Nell’attuale quartiere Vanchiglietta (nordest), è a ridosso del parco Colletta poco a monte della confluenza della Dora Riparia nel Po.

Al cimitero è annesso un tempio crematorio edificato nel 1882, il secondo in Italia dopo quello di Milano (1876).





Leggi un approfondimento sui cimiteri torinesi

I cimiteri suburbani
Abbadia di Stura (tuttora aperto)
Cavoretto (tuttora aperto)
Crocetta (chiuso a fine 800)
Lingotto (chiuso nel 1971)
Lucento (chiuso nel 1970)
Madonna del Pilone (chiuso nel 1898)
Madonna di Campagna (chiuso nel 1970)
Mirafiori (tuttora aperto)
Mongreno (chiuso nel 1896)
Pozzo Strada (chiuso nel 1971)
Reaglie (chuso nel 1896)
Santa Margherita (chiuso nel 1935)
San Vito (chiuso nel 1950)
Sassi (tuttora aperto)
Superga (chiuso nel 1895)

Vedi alcune immagini dei cimiteri cittadini

Il Cimitero Ebraico

Il cimitero ebraico è stato itinerante per un bel pezzo, prima di stabilirsi definitivamente dov’è ora.
Ecco le sue sedi nel corso del tempo:

1 – Via Santa Teresa angolo Via San Tommaso
La presenza ebraica a Torino è attestata sin dalla prima metà del 1400, esattamente dal 1424. Si sa che le quattro o cinque famiglie ebree presenti in città all’epoca usavano per seppellire i loro defunti un terreno nei pressi della Porta Marmorea (la porta cittadina rivolta verso Sud), più o meno tra Via Santa Teresa e Via San Tommaso.

2 – Via Arsenale angolo Via Arcivescovado
Tuttavia, quello che è considerato a tutti gli effetti il primo cimitero israelitico di Torino risale alla metà del 1500. Infatti il 21 maggio 1551 il duca Carlo II di Savoia concesse agli ebrei di utilizzare come cimitero un terreno che si trovava in Via Arsenale all’angolo con Via Arcivescovado, sul quale oggi sorge il palazzo dell’ex Arsenale Militare.
Veduta del Ghetto nel 1737.

3 – Corso Matteotti angolo Corso Re Umberto
Dopo un centinaio di anni di calma, il cimitero ebraico dovette trasferirsi, perché al suo posto si doveva costruire la nuova fonderia per le artiglierie (diventata poi Arsenale Militare e dal 1943 Scuola di Applicazione). Nel 1668 il cimitero traslocò in un’area attigua assegnata dal duca Carlo Emanuele II di Savoia, di forma triangolare e più ampia della precedente, situata tra gli attuali Corso Matteotti e Corso re Umberto. Questo cimitero fu dismesso durante l’assedio di Torino del 1706, perché troppo vicino alle zone di azione militare e perché il terreno fu usato per alloggiare attrezzature militari varie.

4 – Via delle Rosine angolo Via Giolitti
Il cimitero ebraico allora prese baracca e burattini e si trasferì nei pressi del ghetto, lungo la scarpata del bastione di Saint Jean de Dieu (Torino all’epoca era ancora cinta dalle mura di fortificazione), al fondo dell’attuale Via delle Rosine, più o meno all’angolo con Via Giolitti, nell’area che corrisponde pressappoco al luogo in cui si trova l’Istituto delle Rosine. Presente già nel 1710, rimase lì fino al 1772.

5 – Via Napione angolo Via degli Artisti
Un documento del 14 maggio 1772 stabiliva il trasferimento del cimitero israelitico in Vanchiglia, fuori dalla Porta di Po, a sinistra lungo la sponda del fiume, in una zona periferica e insalubre della città, dove scorrevano all’aria aperta diversi canali fognari. E’ probabile che si trovasse nell’area tra Via Napione e Via degli Artisti. Il terreno aveva un’estensione di 47 tavole e nel corso del tempo si ingrandì diventando di 180 tavole circa. Restò qui fino al 1867, per poi spostarsi al Monumentale durante i lavori di riqualificazione di Borgo Vanchiglia progettati da Alessandro Antonelli.

Testo di Manuela Vetrano