Atlante di Torino

 


Un'arte valdese
Nel XVIII secolo i cioccolatieri torinesi avevano cominciato a servirsi di macchine rudimentali che permettevano la solidificazione del cioccolato, consumato fino ad allora unicamente come bevanda. Molti di questi maestri artigiani erano valdesi rifugiati in Piemonte, dopo la revoca dell’editto di Nantes (1685).

Agli inizi dell’Ottocento, Paolo Caffarel apre lo stabilimento di produzione del cioccolato, in zona Valdocco, sulle rive della Pellerina (così chiamato dalla vecchia strada che percorrevano i pellegrini che si recavano a Roma: l’attuale corso Appio Claudio).
L’acqua del canale aziona una ruota idraulica fornendo l’energia ai macchinari, in particolare il mescolatore che permette di produrre circa 350 kg di cioccolato al giorno.
Oltre a Caffarel sono di origine valdese anche Talmone, titolare del laboratorio situato in Borgo San Donato, Michele Prochet — che nel 1826 si fonderà con Caffarel, dando vita alla Caffarel Prochet — Francois Luis Cailler, che trasferirà in Svizzera i segreti appresi a Torino e Malan, titolare della cioccolateria di via Borgo Nuovo.
Da ricordare anche Beata&Perrone, la ditta fondata in via Cottolengo nel 1843, Piero Gabutti, in via Po dal 1857 e i fratelli Stratta, dell’omonima confetteria in piazza San Carlo

 

 

 



image-1image-1I cioccolatini di carnevale: i Gianduiotti
Furono proposti, per la prima volta, dalla Caffarel-Prochet-Gay nel 1865 in occasione del Carnevale. Per questo l’ormai celebre cioccolatino, uno dei simboli torinesi, porta il nome della tradizionale maschera torinese.
Nella seconda Gianduieide, nel 1869, la maschera Gianduia (Giandoja) emanava un editto che consacra: “privilegiato dolce quel particolare cioccolatino prodotto dalla Caffarel prochet Gay”

 

 

Leggi l'approfondimento su Venchi - Unica - Talmone

Tradizione dolciaria
I Taurini, antenati dei torinesi, fabbricavano già il torrone. Lo af­ferma Plinio: «In melle decotus nucleus pineos taurini aquicelus vo­cant».
Nella Torino medioevale i dolciari erano sotto la protezione di s. Pasquale Baylon (di cui si conserva una statua in legno nel coro della chiesa di S. Tommaso) e, per celebrare con atto di dolce devo­zione il loro protettore, inventarono il «Sanbaylone» o zabaglione.
Nel 1563 dalla corte di Madrid Emanuele Filiberto importò a Torino il cacao ma trascorse oltre un secolo prima che la cioccolata apparisse in un pubblico spaccio.
Lo attesta la prima licenza rilasciata nel 1678, (conservata nella Biblioteca Reale), da Madama Reale Giovanna Bat­tista, che dice: «Avendoci Giovanni Antonio Ari fatto supplicare di concedergli il privilegio di vendere pubblicamente la cioccolata in bevanda in questa città per anni sei dalla data della presente, abbiamo accondisceso volentieri alla sua domanda per esserne stato lui il pri­mo inventore». Forse per invidia nei confronti del suddito la diffusio­ne della bevanda fu ostacolata. Autorevoli maghi dell'epoca appiop­parono alla ghiottoneria il nome di «bevanda malefica» fatta da «peri­colosissimo sciocolato». Si disse pure che era stata la causa della got­ta di Carlo V e di Filippo II.
Passata l'ondata diffamatoria il cacao si diffuse fino a permettere il formarsi di una solida industria. Intanto in città brillavano i «cioccolattieri» Giroldi in Doragrossa, Andrea Bare­ra in contrada dell'Accademia, Bianchini presso la chiesa di S.Tere­sa, la vedova Giambone in contrada Nuova (via Roma vecchia).
La produzione industriale risale agli inizi del 1800 con la costruzio­ne della macchina idraulica per il raffinamento del cacao, opera del piemontese Doret. La scoperta fu poi messa a punto e il signor Caffarel fu il primo ad acquistare il brevetto.
Sui giornali del 1802 si legge: «Caffarel padre e figlio, fabbricanti di cioccolata col mezzo di mac­china idraulica, già privilegiata di Sua Maestà, fuori di Porta Susa, casa propria sulla passeggiata di Principe Eugenio (l'attuale omoni­mo corso). Deposito piazza Castello, accanto al 14».

Vedi l'approfondimento sulla tradizione dolciaria torinese

I cioccolatini "givu" e gianduiotti
I primi prodotti di cioccolato solido furono battezzati «givu» (cicca, mozzicone); era­no cioccolatini sfusi, senza carta, grossi come una ghianda. Nella sto­ ria delle ... dolcezze cittadine c'è un'altra data famosa, il Carnevale del 1867, in cui Gianduja va a constatare di persona la squisitezza di un nuovo givu allungato e morbido e decide di dargli il suo nome: nasce così il gianduiotto, inventato da Prochet, proprietario della Caffarel, il quale aggiunse al cacao e allo zucchero le nocciole maci­nate «tonde gentili delle Langhe».
Nel primo ottocento vennero a To­rino a osservare la lavorazione del cioccolato Francoçis Louis Cailler e Philippe Suchard i quali, tornati in Svizzera, cominciarono a produr­re cioccolato in tavoletta, il primo a Vevey, il secondo a Neuchàtel, Altri nomi famosi della confetteria cittadina sono Talmone, Morion­do e Gariglio, Romana Bass, Baratti e Milano, Viola, Stratta, Venchi, Peyrano, Leone con le sue multi sapori pastiglie, ecc.
Rimaneggiano tutti ripieni particolari, eternizzando con metodologia moderna ri­cette e metodi artigianali.

I cioccolatini del San Carlo
In piazza S. Carlo l'omonimo caffé di Franca e Giulio Segre, col figlio Massimo, continua l'illustre tradizione di un «salotto» attivo già ai tempi in cui il sito si chiamava «Piazza d'Arme».
Molte sono, insieme a quelle dolciarie, le reminiscenze storiche di questo elegante locale il l5 febbraio 1823 il caffé Gianetti (futuro S. Carlo) fu illuminato per la prima volta col gas; dopo quindici giorni nello stesso locale avvenne il primo tentativo per l'illuminazione col «gasse idrogeno solforato».
I cioccolatini del S.Carlo (come dicono brevemente gli amatori) sono frutto di lunghe ricerche; alle vecchie ricette sono stati aggiunti ingredienti speciali, con conservante natu­rale (segreto della casa). Deliziosi sono gli allegretti, ricetta nuovissi­ma a base di rhum e le foglie di cioccolato alla menta. Una lunga lista di firme da tutto il mondo, con commenti curiosi, attesta il livello dell'antico caffé, che, insieme agli altri, tiene alto il prestigio della nostra ... dolce tradizione.

Caffarel Prochet
Nel 1867 la Prochet aveva il deposito in via Nuova (ora via Roma) accanto al n. 38” (poi via Roma); nel 1870 lo stabilimento era sito in Piazza Statuto. Nel 1871 costruisce un nuovo stabilimento sul canale della Ceronda in via del Carmine 28. Funzionerà solo per pochi mesi, poiché delle infiltrazioni d’acqua dal canale danneggiano le materie prime, viene ceduto ad una manifattura di filati.

Una figura da cioccolataio
Intorno al 1830 a Torino l’industria del cioccolato aveva già raggiunto livelli di altissima specializzazione.
Uno dei maestri cioccolatieri, arricchitosi grazie alle nuove tecniche di elaborazione del cacao, si permise di girare per la città su una carrozza trainata da quattro cavalli, quando i borghesi dell’epoca al massimo utilizzavano il tiro a due.
Il re Carlo Felice chiamò urgentemente a corte quest’uomo per fargli una severa ramanzina, in quanto “il re di Sardegna, Cipro e Gerusalemme” uscendo con la sua quadriglia, “non poteva essere scambiato per un cioccolataio”.
Secondo un’altra versione un ricco cioccolataio, di Genova, arrivò all’inaugurazione del teatro Carlo Felice, nel 1828, su una carrozza molto lussuosa. Essendo la carrozza del re molto più brutta, la gente commentò che “il re aveva fatto una figura da cioccolataio”.