L'educazione spartana di Vittorio Emanuele II



 

image-1Vittorio Emanuele, decenne figlio di Carlo Alberto, aveva un rigidissimo programma educativo che condivideva con il fratello Ferdinando.

Nuell'inverno (1830-1831) era obbligato a levarsi dal letto verso le 5 e mezzo, poi subito veniva applicato allo studio fino alle otto, all’equitazione dalle 9 alle 10, ad un’ora di disegno e di calligrafia, poi ancora allo studio dalle 12 alle 13.

Aveva un’ora sola per la colazione e per la ricreazione, poi scherma, e finalmente un’ora e mezza di passeggiata.
Alle 16 si ricominciava con la ginnastica, alla quale seguivano altre due ore e mezza di studio, dalle 17 alle 19 e mezzo. Mezz’ora per il pranzo e per la visita di etichetta alla madre, un’altra mezzora di preghiere e di lettura e finalmente alle 21 poteva andare in letto.

Era, non c’è che dire, un orario gravoso o almeno singolare dal punto di vista pedagogico, ma nel quale è evidente l’influenza diretta del re Carlo Alberto, che si levava alle 4 e lavorava moltissimo.

I documenti dell'Archivio Reale sono poi li a dimostrare che dalla fine del 1830 al 1833 il principe Vittorio Emanuele scrisse ben 16 quaderni di aritmetica, per oltre 950 pagine, e cosi, in proporzione, per le altre materie, vale a dire lingua e composizione, letteratura, storia, poesia, latino, morale; tradusse quasi tutte le Vite di Cornelio Nepote, il primo libro di Fedro, molta parte del primo libro dei Commentari di Cesare; studiò la teoria delle frazioni, delle proporzioni aritmetiche e le definizioni geometriche, fece una indigestione della storia antica del Faillié e dei discorsi di Bossuet sulla storia universale, nonché del Vangelo di S. Luca.



Ho studiato a memoria (egli scrive in una relazione del 4 novembre 1832 al padre) « due o tre vite di uomini illustri di Cornelio Nepote » e da questa incertezza su cose che avrebbe dovuto sapere a memoria si comprende come tutto quel latino gli fosse indigesto.

Riusciva invece a meraviglia nella storia politica, nella teoria militare, nel disegno, nella scherma, nella danza, nell'equitazione.

Era afiìdato a precettori talvolta pedanti, che gli creavano intorno un ambiente pieno di severità e di troppo rigida etichetta; il conte di Saluzzo pretendeva governare quei due ragazzi di Cario Alberto come governava gli allievi dell'Accademia Militare.
Ma il giovane duca di Savoia seppe e potè reagire, con la felice prontezza degli organismi sani, a quell'ambiente, senza confondersi se lo studiosissimo e diligente fratello Ferdinando duca di Genova mieteva allori ogni giorno.

Vittorio Emanuele insomma imparava bene e con profitto ciò che gli andava a genio e che gli avrebbe potuto servire, e, trascurando il resto, prendeva con docilità le lavate di testa del Saluzzo, del vice governatore conte Gerbaix de Sonnaz, dei precettori e del padre.
Si assoggettava, forse ridendo in cuor suo, alle esagerazioni di quel metodo didattico, fra le quali la più ridicola fu quella dell’atto notarile davanti a testimoni, che il governatore, il 20 ottobre 1830, gli fece firmare perché s’impegnasse a ricavare maggior profitto dai suoi studi.

Si noti poi che in quegli anni in Piemonte pochi potevano vantare un complesso di studi, vasto se non profondo, come quelli fatti dal primogenito di re Carlo Alberto.

Giornata piena per il principe ventiduenne, anche dopo il matrimonio, nel 1842

"Mi alzo alle 5 e mezza e dopo la preghiera mi occupo a scrivere lettere e composizioni fino alle 7.
Dalle 7 alle 8 e mezza in maneggio.
Dalle 8 e mezza alle 9 e mezza disegno, quindi la Messa e la colazione sino alle 11.
Dalle 11 sino a mezzo giorno e mezzo visite e lettura di giornali.
Dalle 12 e mezza sino alle 2 lavoro coll’Intendente.
Dalle 2 alle 3 Conte Maffei per studi di materie politiche; dalle 3 alle 5 passeggiata.
Dalle 5 alle 5 e mezza mi vesto per il Pranzo o ricevimento quasi abituale del Duchino.
Dalle 7 e mezza alle 8 pranzo.
Dalle 8 alle 9 trattenimento con mio fratello, con Eugenio, e gli Scudieri, alle 9 dalla Regina a prender mia moglie".

 

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