Atlante di Torino

image-1image-1


image-1



image-1Il salotto della città
La piazza appartiene al primo ingrandimento verso sud e venne aperta, intorno al 1640, per volere di Madama Reale Maria Cristina.
Progettata da Carlo di Castellamonte, risultò subito la più bella della città ed una fra le più amamirate in Italia.


Ancor più raffinata ed ariosa doveva apparire nel suo primo secolo di vita quando le arcate dei portici erano sostenute da colonne binate e non, come ora, poggianti su spessi pilastri.
Verso la metà del 1700 per la cattiva qualità della pietra delle colonne, degradatasi anzitempo, fu necessario per assicurare la stabilità dei palazzi soprastanti incorporare le colonne in massicci pilastri.

La piazza all'inizio ebbe il nome di Reale e successivamente di piazza d'Armi.
Durante l'occupazione francese fu ribattezzata place Napoleon e quindi San Carlo dal nome del santo al quale è dedicata una delle due chiese che scenograficamente chiudono la piazza a sud.


Qui, oltre alle parate militari, si tenevano il mercato delle granaglie nei portici di ponente e della frutta e verdura in quelli di levante; quest'ultimo mercato durò fino quasi alla fine del 1800.

Con Regie Patenti del 1638 e 1642 erano state stabilite le donazioni dei terreni fronteggianti la piazza ed alcune famiglie nobili accettarono di erigere i palazzi circostanti in un arco di tempo abbastanza limitato.

image-1Il primo palazzo ad est all'angolo con la contrada di San Filippo (via Maria Vittoria d'oggi), al numero 161, è quello fatto erigere nel 1644 dal marchese Saluzzo di Cardè e Villa Ghiron, come tutti quelli della piazza, come si disse, su progetto dell'architetto Carlo di Castellamonte.

 

 

image-1

image-1Segue al numero 183 quello costruito tra il 1644 ed il 1656 dai marchesi Isnardi di Caraglio. La proprietà passò poi ai Solaro del Borgo ed il palazzo fu ricostruito in parte e riccamente decorato nel 1740- 1767 dall'architetto Benedetto Alfieri e da G. B. Borra. Nel 1770 furono eseguiti altri restauri ad opera dell'architetto F. Castelli. Nel 1839 vi prese sede l'Accademia Filarmonica, fondata nel 1815, che alcuni anni dopo lo acquistò e che tuttora lo detiene.

 

 

image-1

image-1image-1image-1Al numero 197 troviamo il palazzo Turinetti di Cambiano marchesi di Priero, eretto nel 1644 con decorazioni interne del 1750 ad opera di Benedetto Alfieri.
Successivamente la proprietà passò ai conti Piossasco di Scalenghe quindi ai Panissera di Veglio donde ai Giriodi ed in parte ai Barbaroux.
Si dice che sul davanzale in pietra di una delle finestre della sala d'angolo si legge tuttora un'affettuosa espressione incisa in dialetto piemontese che Gabriella Falletti di Villafalletto marchesa di Cambiano indirizzò al giovane poeta Vittorio Alfieri che abitava dirimpetto nel palazzo dei conti Villa.

image-1 Il lato sud della piazza è chiuso dalle chiese di Santa Cristina e di San Carlo. La prima di queste fu fatta erigere da Madama Reale Maria Cristina con l'annesso convento intorno al 1640 su progetto dell'architetto Carlo di Castellamonte, per le Carmelitane Scalze da lei fatte venire di Francia. Alla sua morte nel 1663 volle esser seppellita qui, ma durante l'occupazione francese la chiesa fu sconsacrata e l'edificio destinato a Borsa di commercio; la sepoltura di Maria Cristina fu trasferita nella chiesa di Santa Teresa dove è ancora oggi.


image-1Nel 1715-1718 la chiesa fu abbellita con una nuova facciata su progetto dell'architetto F. Juvarra. Le due statue di Santa Cristina e Santa Teresa che stanno alte sul portale d'ingresso furono eseguite dallo scultore francese Legros, ma nel timore che all'esterno potessero soffrire furono sistemate all'interno della chiesa ed all'esterno sostituite dalle copie eseguite dallo scultore luganese G. S. Caresana.
Allorché la chiesa fu adibita a Borsa di commercio le statue dall'interno furono trasferite, nel 1804, nel Duomo ove ancora sono a lato dell'altare del Crocefisso.
Con la Restaurazione la chiesa fu riaperta al culto dopo restauri dell'architetto Bonsignore e affidata prima ai Padri della Missione poi ai Padri Serviti e quindi ancora alla Pia Unione del Sacro Cuore.
Il vicino convento era passato in proprietà di privati e nel 1870 il Comune destinò i locali alla Regia Questura. Questo edificio fu demolito nel 1935 per la nuova sistemazione della zona a seguito dell'allargamento di via Roma ed anche la chiesa fu privata di tre finestroni, ebbe una nuova abside e rivestimento in marmo con una fontana addossata all'esterno.
Ancora restauri esterni ed interni furono eseguiti nel 1951 e 1960 per danni subiti nei bombardamenti aerei dell'ultima guerra.

 

 


image-1La simmetrica chiesa di San Carlo, alla quale seguiva il convento degli Agostiniani chiamati ad officiarla, fu eretta nel 1619 su progetto, variamente attribuito, agli architetti Carlo di Castellamonte, Costaguta e Valperga, mentre sempre in quell'anno figura direttore dei lavori Galleani di Barbaresco. I lavori procedettero spediti e nel 1620 la chiesa era aperta, anche se non finita. L'altar maggiore fu eseguito su disegno dell'architetto Quadri. Il campanile eretto ancora nel secolo XVII fu munito di un orologio nel 1778. La facciata della chiesa fu poi completata soltanto nel 1834, sulla falsariga di quella juvarriana di Santa Cristina, dall'architetto Caronesi ed ornata con un bassorilievo raffigurante San Carlo Borromeo in atto di dare la comunione al duca Emanuele Filiberto, dovuto allo scultore Butti.
Altri restauri dell'edificio furono fatti dal Ceppi nel 1863 ed altri ancora negli anni 1871, 1892 e 1894.
Agli Agostiniani, nel 1837, erano succeduti i Servi di Maria che nel 1850 furono surrogati dal clero regolare fino al 1892 per ritornarvi poi in quell'anno.
Con la nuova sistemazione progettata dagli architetti Piacentini e Momo resasi necessaria per l'ampliamento di via Roma nel 1935-1937, il lato ovest della chiesa fu isolato dall'ex convento adiacente e rivestito di marmi, con l'abside alla quale fu addossata una fontana.

Vedi le foto della Chiesa di San Carlo



image-1Al numero 206 all'angolo con la contrada di San Carlo (via Alfieri d'oggi) sorge il palazzo dei conti Villa di Villastellone, passato poi in proprietà dei conti Avogadro di Collobiano. In questo palazzo abitò Vittorio Alfieri.

image-1

image-1Al numero 196 segue il palazzo Gianazzo di Pamparato, passato poi al Banco di Novara. Nel cortile un'antica pianta di gelso per molto tempo è stato ritenuta il più antico albero della città. Il palazzo ebbe, verso la metà del secolo XVIII, restauri e modifiche ad opera di Benedetto Alfieri.



image-1

image-1Al numero182 il palazzo Trecésson, passato poi in proprietà dei conti Pastoris quindi dei Lovera di Maria, della contessa di Saluzzo, dei Denina ed infine dell'Istituto della Previdenza Sociale. Nella seconda metà del secolo XVIII furono eseguiti restauri e sistemazioni interne ad opera dell'architetto Agliaudi di Tavigliano.

 

 

image-1

image-1Al numero 160 è il palazzo già dei Villacardet marchesi di Fleury, passato quindi successivamente in proprietà dei Radicati di Cocconato, dei Carron di San Tommaso, dei Rorà Cattaneo Adorno ed ora dell'Istituto Bancario San Paolo. Il palazzo nel corso del 1700 ad opera dell'architetto Borra subì restauri e modifiche.
Questi due palazzi contigui furono teatro, intorno al 1665, di una tragedia ed un grave scandalo che coinvolse due dei loro proprietari. Giovanna Maria di Trecésson favorita di Carlo Emanuele II (al quale aveva dato ben due figlie ed un figlio), moglie del compiacente Pompilio Benso di Cavour, non era rimasta insensibile alle grazie del suo vicino, il marchese Trivie Villacardet de Fleury. Onde mantenere i loro incontri riservati, fra i due palazzi confinanti era stata praticata un'apertura che metteva segretamente in comunicazione i due appartamenti. Ciò era a conoscenza di un domestico del de Fleury, certo Carnaviu, che un giorno, licenziato dal marchese, per vendicarsi andò a spifferare ogni cosa al Cavaliere di Caresana. Il Cavaliere avvertì la Trecésson ed il de Fleury che, riuscito vano il tentativo di tacitare a denaro il domestico, decise di metterlo definitivamente a tacere. Il giorno seguente, chi dice nei boschi di Stura, chi ripescato nel Po, fu ritrovato il corpo del Carnaviu pugnalato. L'inchiesta appurò i fatti ed indicò i colpevoli che furono processati e condannati. La Trecésson si ritirò prima nel convento di Annecy, poi fuggì a Parigi. Il de Fleury, prima incarcerato e successivamente graziato e bandito, la raggiunse successivamente.

image-1L'ultimo palazzo del lato ovest al numero 156 è quello dei marchesi Turinetti di Pertengo, passato quindi ai Rénard di Faliçon ed ora dell'Istituto Bancario San Paolo. Nel corso del 1700 il palazzo subì modifiche e restauri ad opera dell'architetto G. B. Borra. Gravemente danneggiato durante i bombardamenti dell'ultima guerra fu praticamente ricostruito su progetto degli architetti A. Midana e Dezzuti.

 

 

image-1

image-1In questo palazzo, al piano terreno, era uno dei più noti e fastosi caffè di Torino aperto nel 1842 su progetto dell'architetto Leoni e con pitture del Morgari e del Borra. Dopo la ricostruzione è stato riaperto, ma senza la famosa piccola galleria affacciata sui portici ed il fascino di un tempo.


 

 

image-1Al centro della piazza il monumento ad Emanuele Filiberto a cavallo nell'atto di rinfoderare la spada dopo la battaglia di San Quintino e la vittoria che lo rimetteva in possesso dei suoi stati. Il monumento, il famoso «Caval ed brons» è opera pregevolissima dello scultore Carlo Marochetti che modellò e fece fondere la statua in Francia, ove fu esposta con enorme successo nel cortile del Louvre. Il progetto originario che comportava statue e fontane fu semplificato e l'opera inaugurata nel 1838. I due bassorilievi laterali rappresentano l'uno la battaglia di San Quintino e l'altro il trattato di Cateau Cambrésis.

 

 

 

 

 

 

 

image-1Il lato nord della piazza era chiuso da due palazzi, posti ai lati della contrada Nuova (via Roma). Quello ad est era senza particolare rilievo mentre quello ad ovest era l'assai più noto palazzo Tana eretto nel 1647. In esso abitarono illustri personaggi ed ebbe sede anche l'Ambasciata del Regno di Napoli. Verso la contrada Nuova già sul finire del secolo XVII era in funzione il famoso Albergo Reale frequentato da una sceltissima clientela. Circa alla metà del secolo passato il palazzo passò in proprietà del marchese Natta d'Alfìano, che risanò la parte dell'isolato di sua proprietà ed aprì la galleria o passaggio coperto, che da lui prese nome. Successivamente il palazzo passò in proprietà Geisser.

Per l'allargamento di via Roma il palazzo fu demolito e nella sua ricostruzione fu rifatta anche la galleria denominata oggi San Federico dal nome del santo al quale è dedicato quell'isolato.


Vedi altre immagini di piazza San Carlo

Torna alla zona di piazza San Carlo - R -