La vita alla corte di re Carlo Alberto


Cliccare sulle immagini per ingrandirle

image-1A Carlo Alberto non piaceva essere festeggiato
Il re non amava che lo festeggiassero. Prima del giorno del suo onomastico si trasferiva a Genova, dove si fermava per circa un mese, per evitare le visite di che voleva porgergli gli auguri.
La vita di corte, anche a Genova, era monotona e ripetitiva.
Il re e il seguito, in 6/8 carrozze, lanciate al gran galoppo, tornavano a Torino impiegando solo 17-18 ore, mentre la corriera pubblica per lo stesso percorso impiegava 60 ore.

 

 

 

 

 

 

 

image-1Vittorio Emanuele non “amava” Alfonso Lamarmora
Nelle cene dei giovani principi, con il loro seguito, l’atmosfera era più allegra.
Il futuro re Vittorio Emanuele II preferiva la compagnia del suo scudiero Enrico Morozzo Della Rocca, che soprannominò “Macigno”.
Gradiva la sua presenza più di quella di Alfonso Lamarmora (scudiero del duca di Genova, Ferdinando, fratello di Vittorio Emanuele) che, autoritario e prepotente, faceva pesare a tutti il fatto di aver letto e viaggiato molto.
A questo proposito durante le giornate della I guerra d’Indipendenza nel 1848 avvenne un vero e proprio scontro tra i due: mentre Vittorio Emanuele era riunito con il suo Stato Maggiore, chiese dove si trovasse il Lamarmora che non si era visto per tutta la giornata. In quel momento apparve sulla porta Alfonso tutto impolverato e il futuro re l’apostrofò, senza invitarlo alla mensa sulla quale il Lamarmora allungava il braccio per prendere una pagnotta: “Ah, finalmente si può vederla! L’ho fatto cercare più volte, ma invano; nessuno l’ha mai trovato!”
“Ero sulla sinistra col De Sonnaz e ho diretti diversi attacchi” replicò Lamarmora
“Avrebbe fatto meglio a rimanere al suo posto - replicò il duca - e non a girovagare dove non era comandato”
Lamarmora, ferito nell’orgoglio, borbottò qualche parola. Il Duca ancor più risentito e molto eccitato gli urlò in piemontese: “C’ha vada pura dove c’a veul; a l’è mach un gran c….!”
A quelle parole Lamormora sbatti violentemente il pezzo di pane sul tavolo ed uscì precipitosamente.

Il futuro re parlava in dialetto
Il futuro re Vittorio Emanuele, quando il Della Rocca gli faceva notare che stava facendo cose che suo padre, se lo avesse saputo, non avrebbe gradito, rispondeva: “Là, là ch’as calma, ch’as calma. Un aura volta i fare coum a veul chiel” (Si calmi, si calmi, un altra volta farò come vuole lei)

image-1Vittorio perde ottantamila fagiani
Il passatempo preferito era la caccia e, quando erano a palazzo, il biliardo.
Una sera Vittorio Emanuele e La Rocca giocarono una posta di 5 lire (il costo di un fagiano) a partita. Vinse sempre lo scudiero, raddoppiando ogni volta la posta, raggiungendo alla fine l’iperbolica cifra di quattrocentomila lire (ottantamila fagiani). La Rocca non avrebbe mai richiesto il pagamento, così continuò a giocare finché, perdendo, i due rimasero in pari.

 


image-1Abbiamo battuto la cavalleria!
Durante la preparazione del torneo che si doveva celebrare in piazza San Carlo, parte dei festeggiamenti del matrimonio del futuro re Vittorio Emanuele II con Maria Adelaide d’Austria, il capitano di cavalleria Saint-Front ebbe a che dire col capitano di Stato Maggiore Scati. Quest’ultimo interpretò alcune parole del rivale come un’offesa agli ufficiali di Stato Maggiore (che in verità allora non erano molto considerati), così lo sfidò a duello.
Nello scontro rimase ferito il Saint-Front così l’onore degli ufficiali di Stato Maggiore (cui appartavano lo Scati e il Della Rocca (scudieri dello sposo) ebbe la meglio.
Scendendo dalla carrozza che lo portava al matrimonio Vittorio Emanuele si diresse verso il Della Rocca e con espressione gioviale e maliziosa esclamò: “Abbiamo battuto la cavalleria, bene, bene!”

image-1Vestiti da italiani
Con l’entusiasmo suscitato dalla concessione della Costituzione (1848) e le speranze di unificazione italiana, a Torino la moda era di “vestirsi da italiani”.
Anche se inizialmente sembrava più una mascherata, fece molti proseliti: le signore portavano una lunga amazzone di velluto nero, rialzata sopra una sottana di seta tricolore, a larghe strisce; altre portavano l’abito corto, con grandi fusciacche tricolori. Tutte avevano l’alto cappello alla calabrese con piume e nastri tricolori.
Gli uomini indossavano giubbe e calzoni alla cacciatora, di velluto nero, con sciarpe tricolori, passamani e nappe uguali sul cappello alla calabrese.

 


Vai alla zona (E) dove si trova palazzo Reale