Il castello del Valentino

Sembrerebbe che all’origine del nome Valentino ci sia una dama, una certa Valentina Balbiano di Chieri, moglie del presidente del Parlamento che Francesco I aveva istituito nel Cinquecento durante l’occupazione francese.
Pare che per compiacere il marito che amava vivere in riva ai fiumi fece porre la prima pietra del castello.
Ma è soltanto una leggenda smentita dai documenti che testimoniano l’acquisto di questa villa da parte di Emanuele Filiberto, che incominciò i lavori per renderla una delle sue "delizie", pare su suggerimento del Palladio.

Il Castello diventò magnifico a partire dal 1620, quando Cristina di Francia, sposa tredicenne di Vittorio Amedeo I, si innamorò del paesaggio e ne fece la sua residenza a partire dal 1630, anno in cui divenne Duchessa di Savoia. La sua costruzione durò trent’anni e la conclusione fu suggellata da una lapide commemorativa che ancora si legge datata 1660.

Il complesso fu realizzato dagli architetti Carlo e Amedeo di Castellamonte, influenzati non poco dal gusto della principessa transalpina, soprattutto nei tetti alla francese che dominano tutta la struttura. Nell’ultimo anno dei lavori la Madama Reale fece aggiungere sulla facciata il frontone con lo stemma e un falso secondo piano per mascherare una parte dell’alto e ripido spiovente del tetto.

Il Castello trovò così la sua forma definitiva, che è quella attuale, tranne che per tre particolari di rilievo eliminati nell’Ottocento: l’atrio colonnato era originariamente aperto verso fiume e la collina; i padiglioni laterali di fondo erano collegati con quelli più avanzati da porticati su cui correva una terrazza; le terrazze laterali proseguivano oltre i padiglioni e prendevano la forma di ferri di cavallo terminando in un padiglione centrale d’ingresso ornato da statue. Il tutto era completato da viali, uno dei quali collegava il padiglione d’ingresso al convento di San Salvario, lungo l’odierno corso Marconi, e un altro correva in diagonale fino alla Porta Nuova.

Per la decorazione interna del palazzo furono chiamati alcuni maestri stuccatori svizzeri che crearono lesene, cornicioni, volute, motivi floreali, rosoni e angeli modellati in stucco, mentre nelle parti centrali dei soffitti dipinsero figure e piccoli paesaggi. I loro lavori si possono ammirare nelle sale degli appartamenti del primo piano: il Salone d’Onore, la Stanza Verde, quella delle Rose, del Valentino, dello Zodiaco, dei Fiori, dei Gigli, del Negozio, della Guerra, delle Magnificenze, delle Battaglie, della Caccia, delle Feste, delle Fatiche d’Ercole. Dell’arredamento seicentesco del Castello, uno dei più vasti di cui si abbia avuto notizia, non resta quasi nulla, disperso in larga parte dai francesi nel primo Ottocento e in seguito trascurato dall’incuria piemontese.

Delle feste e degli spettacoli teatrali che si svolgevano nella reggia è stata tramandata una copiosa memoria con i titoli delle rappresentazioni: "L’Oriente guerriero e festeggiante" (1645), "I Portici d’Atene" (1678), "La Reggia del Sole" (1680).

La maldicenza popolare favoleggiava tuttavia che non solo fatti lieti circondassero il Castello del Valentino, ma anche storie di lussuria che avevano come protagonista la bella Madama.

I guai per il Castello del Valentino iniziarono con la Rivoluzione Francese e proseguirono con la Restaurazione. L’edificio poi divenne sede di una serie di esposizioni di prodotti industriali e, nel 1860, fu adibito a scuola di Ingegneria.
Il Castello oggi è ls sede della Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino.