La Còca di San Salvario
La Còca di San Salvario salì all’attenzione della crono alla fine del 1869.
Il 21 dicembre 1869 due di loro, in compagnia di una prostituta, rubano alcune bottiglie al caffè Madrid. Se ne vanno ma poco dopo ritornano e quando il cameriere ne chiede il pagamento danno vita ad un furioso alterco.
A questo punto altri complici che, spacciandosi per guardie di pubblica sicurezza in borghese, fanno finta di arrestare i presunti ladri.
Più tardi arrivano al caffè delle guardie vere che, sentiti i fatti, si mettono cercare i due individui, in compagnia della donna di malaffare. Scoprono trattarsi di Sebastiano Grande, di vent’anni, fabbro, e Grato Macchetti, entrambi pessimi soggetti, ben noti alle forze dell’ordine.
Per questo il proprietario del Caffè Madrid, temendo ritorsioni e vendette, decide di non presentare querela.
A seguito di questa bravata, però, viene commesso un reato ben più grave.
Dopo essere usciti dal Caffè Madrid, alla banda si uniscono Lorenzo Mariano, detto Lene, e Giovanni Benesio.
Prima scolano insieme qualche bottiglia rubata, poi Sebastiano Grande incarica Giovanni Benesio di vendere le altre.
Giovanni Benesio, lo fa, ma quando Sebastiano Grande gli chiede il denaro ricavato, nasce una accanita discussione che si conclude a coltellate.
Giovanni Benesio è ferito gravemente ma riesce a trascinarsi all’osteria di Caterina Balocco, dove viene soccorso dai carabinieri che lo portano all’ospedale.
Benesio non vuole collaborare, interrogato su chi lo abbia colpito, non vuole fare nomi: muore poco dopo, senza rivelare nulla.
Le indagini identificano Grato Macchetti, Sebastiano Grande e Lorenzo Mariano come partecipanti alla rissa, ancora a piede libero.
Verranno catturato a seguito di un’altra aggressione perpetrata quattro giorni dopo.
Il 24 dicembre, infatti, il cavalier Gallia, medico addetto all’Ospedale di Carità, rientrava con una carrozza pubblica dal Giulimosso (l’attuale piazza Nizza, nome che assumerà ufficialmente dal febbraio 1876).
Mentre la carrozza entra in via Saluzzo, alcuni giovinastri intimano ad alta voce di fermarsi; uno degli assalitori, armato di coltello, apre lo sportello e, bestemmiando, ordina di tirare fuori i soldi.
Ma il cavalier Gallia è un tipo tosto, respinge l’aggressore e grida al cocchiere di andare.
Il teppista cade mentre la carrozza parte precipitosamente, portando in salvo il cocchiere ed il cavalier Gallia.
Quest’ultimo, l’abbiamo detto, è un tipo coriaceo così: va in via Nizza n. 15 dove ha sede la Sezione di polizia di Borgo Nuovo, competente anche per il Borgo San Salvario. Con l’ispettore ed alcune guardie, torna sul luogo dell’aggressione chiedendo ai passanti se hanno visto un gruppo di giovinastri. Scoprono che un gruppo del genere si è recato alla osteria di Pietro Molino, in via Principe Tommaso.
Corrono lì e vi arrestano sette individui, tra cui proprio Sebastiano Grande e Grato Macchetti, già ricercati per l’uccisione di Giovanni Benesio.
Gli altri sono Camillo Maggiorotti, Michele Nigra, Venanzio Binelli, Lorenzo Binelli e Giovanni Ricca.
La polizia li descrive come malviventi della peggior razza , più volte condannati per furti, ferimenti, ozio e vagabondaggio: pericolo costante per la sicurezza e la tranquillità degli abitanti del Borgo di San Salvario.
Il giorno di Natale, viene catturato anche Lorenzo “Lene” Mariano.
Tutti gli arrestati si dichiarano innocenti ma il Pubblico Ministero, barone Bichi, li indica come appartenenti alla Còca di San Salvario e li accusa di furto, omicidio e rapina.
Il processo si tiene alla Corte di Assise di Torino nel luglio del 1870 e viene raccontato minuziosamente dalla «Gazzetta Piemontese» nella Rivista dei Tribunali.
Alcuni degli accusati che hanno sempre negato di essere colpevoli cambiano la loro versione dei fatti.
Sebastiano Grande ammette di aver inferto una coltellata al Benesio ma si giustifica con molte attenuanti.
Michele Nigra accusa Lorenzo Binelli dell’ aggressione al cavalier Gallia.
Lorenzo Binelli dichiara che era ubriaco e che non sapeva cosa stava facendo.
Alla fine i giurati emettono un verdetto di colpevolezza soltanto contro tre accusati: Sebastiano Grande, Lorenzo Binelli e Michele Nigra.
La Corte assolve Camillo Maggiorotti, Venanzio Binelli, Giovanni Ricca, Grato Macchetti e Lorenzo Mariano.
Grande e Lorenzo Binelli, invece, sono condannati a sette anni di reclusione, Nigra a cinque anni.
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