LE GIARE

di Franco Ressa

 

Oggi è tutta città, case e strade, ma nei tempi passati, quando la città di Torino era molto limitata, tra i campi e prati del territorio di Torino scorrevano numerosi canali di irrigazione, le bialére. Alcune derivavano dalla Dora, altre nascevano dalle risorgive che buttavano copiosa acqua dal sottosuolo.

Le bialére avevano una direzione obbligata, da nord-ovest a sud-est seguendo la pendenza del terreno verso il Po, e nel fiume finivano col confluire.

La bialéra più nota era la Dora Grossa, che attraversava la città dividendosi in due rami, il primo percorreva via Garibaldi, il secondo via Bertola.

La bialéra periferica alla città era il Fossal Lungo, che circondava l’abitato nei lati ovest e sud tenendosi a circa 400-500 metri dalle antiche mura romane. Probabilmente forniva acqua ai sobborghi, che però vennero distrutti nel 1536 con l’occupazione francese.

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Negli ultimi 900 metri di percorso verso il Po, questo corso d’acqua aveva scavato il terreno incidendolo profondamente, fino ad arrivare al sottosuolo di ciottoli e ghiaia detto la “grisa”. Il valloncello perciò era chiamato Le Giare ed apparteneva alla città di Torino come luogo pubblico.

Abbiamo qualche rappresentazione delle Giare. La prima è un disegno acquerellato di una collezione privata (Simeon), che fa vedere Torino e la campagna circostante da un punto di vista ai piedi del monte dei Cappuccini, circa nel 1620.

 

 

Si nota il corso del Fossal Lungo che serpeggia nella campagna a sinistra della città e sfocia nel Po. Questo fosso era la separazione tra le adiacenze della città e la campagna aperta, infatti il primo appezzamento di terra esterno apparteneva ad una certa Aurelia, da qui il modo di dire “andare in camporella” cioè al campo di Aurelia, con il significato di infrattarsi tra la vegetazione, magari con la ragazza.

Nello stesso periodo, un documento dell’Archivio di Stato (Ordine di Malta, mazzo 224 n.10) attesta la permuta di terreni appartenenti alla Religione Gerosolimitana (l’Ordine di Malta), acquistati dal duca di Savoia Carlo Emanuele I° per dare inizio all’ingrandimento di Torino. Datato primo marzo 1621, il contratto descrive 51,79 giornate (quasi 20 ettari) di campi e orti fuori porta Fibellona e confinanti con le Giare verso sud. Questa proprietà doveva perciò estendersi tra Piazza Carignano e via Andrea Doria in lunghezza e tra via Lagrange e via San Francesco da Paola in Larghezza.

 


 

 

Venti anni dopo, Torino subisce un doppio assedio da parte di francesi e spagnoli, durante la guerra civile che oppone la duchessa Maria Cristina, appoggiata dalla Francia, al principe Tommaso alleato alla Spagna. La stampa che descrive a volo d’uccello (oggi diremmo a veduta di drone) questa situazione bellica, fa vedere Torino cresciuta di un nuovo quartiere veso sud, con sue mura a bastioni. Di fianco a questi è disegnato con evidenza il vallone che si dirige verso il Po, le Giare appunto. La larghezza del solco può essere stabilita intorno ai 50 metri che si allargano fino a 150.

In un altra stampa dell’inizio ‘700 Torino si è arricchita di un altro quartiere verso est, lungo la via Po. Il Fossal Lungo continua a girare intorno alle fortificazioni, ma non si nota più la valle delle Giare, perché ora fa parte dei fossati difensivi di sud est, anzi, durante l’assedio del 1706 l’ingegner Bertola ha fatto costruire dei terrapieni esterni che ora si chiamano Ridotte del Valentino, ma distano dal castello almeno 800 metri.


 

 

Tutte le difese murarie dell’abitato di Torino vengono fatte demolire in epoca Napoleonica. Al ritorno dei Savoia nel loro regno la città è libera di espandersi, ed inizia a farlo proprio sul suo lato sud orientale. Tra il 1830 e il 1840 viene edificato un quartiere lungo la parte settentrionale di corso Vittorio Emanuele II e le due vie retrostanti: Via Borgo Nuovo (via Mazzini) e via San Lazzaro (via dei Mille). I committenti sono per la maggior parte aristocratici, e ancor oggi si notano le case nobiliari intorno a via della Rocca e via Fratelli Calandra, con la chiesa neoclassica di San Massimo.

Con l’urbanizzazione della zona sparisce il vallone delle Giare, eppure ancora qualcosa ne rimane. Infatti la zona non viene livellata, ma mantiene dei dislivelli. Questi si notano osservando le vie Accademia Albertina, san Massimo e Fratelli Calandra. Esse si abbassano sensibilmente fino all’incrocio con via Mazzini, poi risalgono verso via dei Mille e via Cavour. Il livello di via Mazzini, seguendo il percorso di via Accademia Albertina è d 3 metri più basso del corso Vittorio Emanuele II e 4 metri rispetto alla piazza Carlina (Carlo Emanuele II). Il solco delle Giare dunque esiste ancora.

E la bialéra ?  Probabilmente è diventata sotterranea e sfocia sotto i Murazzi, basterà chiederlo alla direzione dei vigili del fuoco, che possono contare su prese d’acqua antincendio rifornite ancora dagli antichi corsi d’acqua.